Diritto alla buona morte

Il papa ha ribadito la contrarietà all’accanimento terapeutico e, insieme, alla eutanasia cosiddetta passiva. Ma si tratta di una distinzione speciosa

E così papa Bergoglio, deludendoci ancora una volta, non ha fatto altro che confermare il proprio parere contrario alla definizione di una legge sull’eutanasia e sul suicidio assistito che, dopo la sua esternazione, difficilmente vedrà mai la luce, se si pensa alla “palude” centrista cattolica o pseudo-tale determinante in questo parlamento. Non resta che sperare nel referendum che, se arriverà in porto, darà di certo una maggioranza favorevole all’abrogazione dell’assurda norma circa “l’omicidio del consenziente”.

In questione, e non da oggi, è la pretesa di un diritto naturale cattolico – da imporre, secondo la Chiesa, anche a chi credente non è, o lo è in altro modo. Il papa ha ripetuto il noto mantra circa le cure palliative che trovano il loro limite in una forma di eutanasia detta “passiva”. Provatevi a somministrare a un ammalato terminale, certamente debilitato, una dose di banale Valium per farlo dormire e liberarlo dallo spettacolo della propria fine almeno per un po’, e vedrete come il medico coerentemente cattolico storcerà il naso perché avete messo il suo paziente a rischio di una crisi respiratoria… Non sia mai! Quando i cattolici vi parlano di “cure palliative”, ipocritamente fingendosi contro l’accanimento terapeutico, è proprio quest’ultimo che stanno praticando, perché secondo loro – ossia secondo quello che chiamano “diritto naturale” – tutto ciò che si può fare è intervenire per diminuire le sofferenze fisiche, di quelle psicologiche non si occupano nemmeno un po’, e comunque neanche il lenimento di quelle fisiche può mettere a rischio la vita di uno che è più di là che di qua.

La conseguenza è che, nei nostri ospedali (senza considerare le cliniche private, le quali hanno tutto l’interesse a tenere tra la vita e la morte un paziente per far lievitare i costi di degenza), a lungo la parola “morfina” è stata pressoché tabù, perché, in dosi veramente efficaci, può risultare letale. Anche i medici non cattolici, laici o magari cristiani protestanti, vivono sotto l’incubo dell’eutanasia passiva, che è possibile equiparare all’omicidio in assenza di una legge, prendendosi a volte da soli delle grandi responsabilità per seguire la propria coscienza. E non parliamo dei casi più terribilmente famosi, come quelli Englaro o Welby, in cui la Chiesa cattolica avrebbe preferito una non-vita interminabile a una morte dignitosa.

C’è poi il suicidio assistito. Che per praticarlo, oggi, si deve andare in Svizzera. I nostri registi Mario Monicelli e Carlo Lizzani, per mettere fine ai loro giorni, più che novantenni, hanno dovuto buttarsi di sotto, sfracellarsi al suolo, perché a loro l’accompagnamento a una morte dolce, che avrebbero quasi certamente scelto, era impedito.

È la concezione cattolica dei diritti fissati da Dio e dalla natura che non va. Anzitutto, nel Vangelo, non si trova una sola parola riguardo al tenere in vita un ammalato a suo dispetto, magari attaccandolo a una macchina; ma certo non è questo il punto, perché sappiamo che da sempre le dispute dottrinali fanno da basso continuo nella Chiesa, anzi nelle Chiese. È l’idea che non possa esserci un’evoluzione possibile del diritto – da intendere in senso positivo, e dunque relativo – che decisamente non va nel cattolicesimo. Una forma di distacco dai costumi del passato, a cui una certa definizione dei diritti tutto sommato era legata, per procedere all’affermazione di nuovi diritti, come quello di avere una buona morte (perché mai, in certe condizioni, qualcuno non potrebbe scegliere di “assentarsi” dalla propria fine mediante una forma di anestesia profonda?), non è prevista dalla concezione cattolica. E il non credente, o il credente in altro modo, dovrebbe piegarsi a questo presunto “diritto naturale”? No, caro Bergoglio, pur considerandola per altri versi nostro amico, su questo non siamo d’accordo.

 

 

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