Banche, i numeri record del 2021 nascondono problemi strutturali

  • Le banche hanno appena reso noto i risultati di bilancio per il 2021 che si è chiuso con utili record. Si sono dunque lasciate alle spalle la fase critica legata alla pandemia e ora promettono lauti dividendi e buyback per la felicità degli azionisti.
  • La disintermediazione delle banche nel mercato del credito dell’area euro appare un trend inarrestabile, anche perché implicito nella regolamentazione e nella politica dei governi.
  • Ma non preoccuparsi di come e con che cosa sostituirle nel finanziare le imprese e promuovere il capitale di rischio genera forti dubbi sulla capacità del nostro sistema finanziario di sostenere la crescita.

Le banche hanno appena reso noto i risultati di bilancio per il 2021 che si è chiuso con utili record. Si sono dunque lasciate alle spalle la fase critica legata alla pandemia e ora promettono lauti dividendi e buyback per la felicità degli azionisti: solo da inizio anno l’indice del settore europeo è salito del 14 per cento.

Se si guarda ai dati emerge però un cambiamento significativo che è intervenuto nell’industria bancaria, come conseguenza della regolamentazione e della politica delle Istituzioni Europee e della Bce, destinato ad avere un impatto duraturo sulla struttura del nostro sistema finanziario, con conseguenze di lungo periodo non prive di incognite.

Una parte dei dividendi promessi dalle banche consiste nella restituzione di capitale in eccesso. Nel terzo trimestre 2021 le maggiori banche italiane avevano raggiunto un tasso di patrimonializzazione Cet 1 (ovvero il capitale versato più gli utili accantonati) del 15,3 per cento, in media oltre 5 punti superiore a quello obbligatorio. Sulla base degli annunci fatti dalle principali quattro banche (Intesa, Unicredit, Bper, Bpm) stimo che circa 1,5 punti di quel capitale eccessivo verrà complessivamente distribuito quest’anno agli azionisti.

Così tanto capitale accumulato è il risultato della regolamentazione che per anni ha imposto alle banche l’obiettivo prioritario della patrimonializzazione, anche a discapito della redditività.

Il capitale infatti non basta accumularlo, bisogna poi remunerarlo, e farlo senza assumere troppi rischi per non peggiorare i ratio patrimoniali in quanto calcolati sulle attività pesate per il rischio. Questa politica ha pertanto spinto le banche a ridurre drasticamente la rischiosità degli attivi e a puntare sulle commissioni per generare reddito.

MENO PRESTITI, PIÙ BTP

Negli ultimi quattro anni le banche italiane nel loro complesso hanno così incrementato di 70 miliardi i titoli di stato detenuti (privi di rischio per la regolamentazione), e aumentato i prestiti di 180 miliardi, ma solo alle famiglie, mutui in prevalenza che assorbono poco capitale di regolamentazione, mentre quelli alle imprese sono addirittura diminuiti di 15.

L’anno scorso le quattro maggiori banche hanno incassato 20 miliardi di commissioni rispetto ai 21 del margine di interesse; per alcune le commissioni sono ormai la prima forma di reddito. Felici le banche, forse un po’ meno i risparmiatori.

Non solo la regolamentazione, anche la politica monetaria ha incentivato le banche a ridurre il rischio di credito, sussidiando il loro margine di interesse. A fine 2021, i finanziamenti della Bce alle banche italiane ammontavano a ben 453 miliardi, di cui 404 erano ri-depositati presso la banca centrale, permettendo alle banche di lucrare un margine, visto che il tasso (negativo) sui prestiti in molti casi è inferiore a quello (negativo) sui depositi.

L’attività principale delle banche italiane (e di molte europee) si sta quindi spostando verso la distribuzione di prodotti finanziari e i prestiti alle famiglie (mutui e credito al consumo).

Si va dunque verso la struttura del sistema finanziario americano dove, per esempio, nel 2020, a fronte dei 78 miliardi di prestiti dalle banche, le imprese Usa ne hanno raccolti 675 emettendo corporate bond e 188 all’estero o dalle istituzioni finanziarie non bancarie.

DOV’È IL MERCATO?

Qui sta il problema: negli Usa c’è un vasto mercato di corporate bond, di loan e debito privato (ovvero non erogato da banche). Ma nell’area euro (e a maggior ragione in Italia) i bond li emettono prevalentemente banche e società di servizi di pubblica utilità, e il risparmio investito in loan e debito non bancario è risibile. Senza contare le Borse asfittiche.

La disintermediazione delle banche nel mercato del credito dell’area euro appare un trend inarrestabile, anche perché implicito nella regolamentazione e nella politica dei governi. Ma non preoccuparsi di come e con che cosa sostituirle nel finanziare le imprese e promuovere il capitale di rischio genera forti dubbi sulla capacità del nostro sistema finanziario di sostenere la crescita.

 

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