Denis Mack Smith lo storico inglese che raccontò l’Italia.

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Già la prima opera dello storico inglese Denis Mack Smith, scomparso all’età di 97 anni, rivelava chiaramente il suo modo di guardare alle vicende italiane, tipico di un esponente della cultura democratica radicale britannica. Il libro Cavour e Garibaldi nel 1860 , uscito in versione originale nel 1954 e in Italia presso Einaudi nel 1958 (poi ha avuto altre edizioni, l’ultima da Rizzoli nel 1999 con il titolo Cavour contro Garibaldi ) dimostra una spiccata benevolenza verso il generale nizzardo in camicia rossa, descritto come un po’ rozzo, ma straordinariamente coraggioso e sincero nel suo idealismo, mentre rimprovera al conte piemontese, di cui pure riconosce l’intelligenza e l’abilità straordinarie, uno «scaltro opportunismo» che lo faceva apparire «ingannevole e infido».
La stessa severità dimostrata verso Cavour aveva usato Mack Smith verso la classe dirigente del nostro Paese nella sua opera principale, la Storia d’Italia 1861-1958 , uscita in contemporanea nel 1959 da noi, per Laterza (poi ebbe molte altre edizioni aggiornate), e negli Stati Uniti per il pubblico anglosassone. A suo avviso dovevano esserci stati «certi vizi intrinseci nel patriottismo liberale del secolo decimonono e nelle sue realizzazioni», se poi questa nazione aveva generato il fascismo e aveva seguito Benito Mussolini per un ventennio. Nella sua prosa vivace, ironica e ricchissima di aneddoti, che ne rendevano la lettura quanto mai gradevole, si rifletteva la delusione di un’opinione pubblica britannica che aveva guardato con forte simpatia al nostro Risorgimento per la sua impronta liberaldemocratica, ma poi era rimasta sgomenta nel ritrovarsi di fronte come nemica, peraltro non troppo temibile sul piano militare, un’Italia sottomessa a un regime liberticida e alleata del Terzo Reich. Ci fu chi scrisse che Mack Smith parlava del fascismo anche quando si occupava di Cavour, di Bettino Ricasoli o, a maggior ragione, di Francesco Crispi. E non era un’osservazione campata per aria.

I suoi libri, molto accessibili e divulgativi, ottennero un ragguardevole successo di pubblico tra i lettori italiani, ma non erano altrettanto apprezzati dagli studiosi. Rosario Romeo, il più prestigioso biografo di Cavour, biasimò aspramente il modo in cui lo storico inglese aveva presentato l’opera del conte. E quasi altrettanto sgradito era Mack Smith alla scuola storiografica cresciuta intorno a Renzo De Felice, autore che lo studioso britannico aveva accusato di voler riabilitare Mussolini in un saggio molto polemico intitolato Un monumento al Duce , edito in Italia da Guaraldi nel 1976 assieme a una risposta di Michael Ledeen (curatore della laterziana Intervista sul fascismo di De Felice) e alla controreplica dell’autore inglese.

D’altra parte, benché la sua ostilità verso il regime littorio e Mussolini fosse a prova di bomba (a volte persino esagerata), anche i marxisti nutrivano forti riserve sull’impostazione generale di Mack Smith, a loro avviso troppo concentrata sulle vicende delle classi dirigenti e poco attenta alle trasformazioni economiche del capitalismo e alle lotte del movimento operaio nel nostro Paese.

Tutte queste osservazioni avevano un certo fondamento: per esempio lo stesso Mack Smith aveva in seguito ammesso che forse Romeo aveva visto meglio di lui su Cavour. Ma bisogna aggiungere che la sua vena polemica verso i governanti italiani era dettata anche, se non principalmente, da un amore profondo per il nostro Paese, dove era approdato per la prima volta da giovane (era nato a Londra il 3 marzo 1920) subito dopo la guerra, nel 1946, fresco degli studi a Cambridge sotto la guida di un maestro autorevole come George Trevelyan.

A Napoli aveva conosciuto Benedetto Croce, al quale era rimasto sempre molto riconoscente per l’aiuto concreto che gli aveva prestato nelle sue ricerche, anche se la tesi di fondo della Storia d’Italia di Mack Smith era all’opposto di quella dell’opera omonima del grande filosofo idealista, che rifiutava nettamente di considerare il regime fascista uno sbocco logico della nostra tradizione politica nel periodo dello Stato unitario.

Nel 1962 lo storico inglese era diventato docente presso il prestigioso All Souls College dell’Università di Oxford, dove aveva insegnato fino al suo ritiro nel 1987. Sotto la guida di Mack Smith si erano formati nel tempo parecchi studiosi britannici specialisti del nostro Paese, le cui opere sono state pubblicate anche in Italia. Tra i più noti si possono ricordare Christopher Duggan (prematuramente scomparso nel 2015 a neppure 58 anni), biografo di Crispi, lo storico della mafia John Dickie e Lucy Riall, autrice di saggi importanti sul Risorgimento, Garibaldi e la spedizione dei Mille.

Infaticabile poligrafo, oltre alle opere di argomento generale, tra cui va ricordata un’importante Storia della Sicilia medievale e moderna (Laterza, 1970), Mack Smith aveva prodotto diverse biografie, sempre molto godibili anche se un po’ sbilanciate sul versante aneddotico, di protagonisti della vita italiana dall’Ottocento in poi. Dopo il suo Garibaldi (Lerici, 1959; poi Mondadori, 1993) erano usciti Vittorio Emanuele II (Laterza, 1972), Mussolini (Rizzoli, 1981), Cavour (Bompiani, 1984), Mazzini (Rizzoli, 1994).

Con il suo spirito critico sempre vivo lo storico britannico non aveva risparmiato rilievi urticanti, in buona parte del resto meritati, alla dinastia sabauda nel libro I Savoia re d’Italia (Rizzoli, 1990). E nel successivo saggio La storia manipolata (Laterza 1998) aveva fustigato la cattiva abitudine di abbellire il passato a proprio uso e consumo, praticata con notevole assiduità nel nostro Paese dai potenti di qualsiasi orientamento politico. Da segnalare anche l’ampio lavoro di Mack Smith Storia di cento anni di vita italiana visti attraverso il «Corriere della Sera» (Rizzoli, 1978), un autorevole riconoscimento al ruolo centrale ricoperto dal quotidiano di via Solferino nel centenario della sua fondazione.

fonte: Corriere della Sera, http://www.corrieredellasera.it