Il beffardo dietrofront della Storia

L’analisi
Sconvolta da un tragico scherzo del Destino, travolta da un virus senza pietà né frontiere, la “Fortezza Europa” sta nascendo per disperazione. Non una federazione di Stati democratici che si aprono al mondo, forti di un progetto identitario comune e di un assetto istituzionale condiviso. Ma una moltitudine di Paesi spaventati, che in ordine sparso si riducono diritti e libertà civili e insieme si rinchiudono dentro il muro dei propri confini nazionali e continentali. L’intera Ue trasformata in “zona rossa”, per difendersi dal contagio globale, è qualcosa che non avremmo mai immaginato di vedere e di vivere.
E invece è quello che sta per succedere, e che i capi di Stato e di governo decideranno oggi nella teleconferenza più drammatica che la Ue abbia mai conosciuto. L’Europa dei Lumi e dei Padri fondatori di Ventotene, giusta, libera e solidale, sconfitta da un nemico invisibile e inafferrabile. L’Europa del libero scambio delle idee, degli umani e delle merci, costretta a blindare se stessa di fronte a un morbo che toglie il respiro e sequestra lo spazio.
«Siamo in guerra», ha ripetuto tre volte Macron, nel suo secondo discorso alla nazione in un solo weekend, annunciando il lockdown europeo, riponendo la perduta grandeur e l’inettitudine dei giorni passati. Forse è fatale che si arrivi a questo immane passo indietro sul sentiero della civiltà e della modernità. Chi ha mai pensato che Bill Gates avesse ragione, quando nell’ormai tristemente profetico speech di quattro anni fa invitava i Grandi della Terra a premunirsi, perché la prossima minaccia non sarebbe stata nucleare ma virale e i futuri killer del genere umano non sarebbero stati i missili ma i microbi? Abbiamo creduto che la Politica dovesse cedere lo scettro alla Tecnica, e che quest’ultima ci avrebbe protetto da tutto, persino dalla morte. Non è andata così. E adesso siamo a questo drammatico tornante della Storia, che ci obbliga a una dolorosa retromarcia. Non si poteva evitare, ma ci si doveva arrivare in un altro modo. Anche in questo frangente l’Europa ha dimostrato tutti i suoi limiti. I soliti egoismi delle Piccole Patrie, i soliti rigurgiti di Stati-Nazione che si illudono di debellare la pandemia non negoziando insieme ai partner una strategia comunitaria, ma semplicemente buttando al macero gli accordi di Schengen. Come se “l’agente patogeno” si potesse fermare all’alt intimato da un doganiere.
Ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori, in questi giorni di paura e di speranza. Abbiamo assistito a un agghiacciante cupio dissolvi delle leadership planetarie. Si salva solo il Papa, che incede sofferente per le strade di una Roma deserta come Pio XII in visita a San Lorenzo, dopo il bombardamento del luglio 1943. Per il resto, Trump e Johnson hanno fatto a gara a chi la sparava più grossa. Putin e Bin Salman hanno visto bene di gettare petrolio sul fuoco già devastante del Covid 19. Lagarde in sette dissennate parole buttate là in un minuto ha dissipato otto anni di miracoli compiuti da Draghi. Merkel e Macron ci hanno lasciato sbattere contro il Fato di sempre ( ah, les italiens… ), convinti di poterla sfangare. E invece ora ci inseguono, presidiando le strade con l’esercito e promettendo miliardi a palate ai loro elettori. Perché purtroppo, e anche questo va detto, stavolta noi siamo in tutti i sensi “avanguardia”, nella diffusione del virus e nelle misure per il suo contenimento. A parte la Cina, siamo la punta dell’iceberg occidentale, finora la più visibile e la più vulnerabile. Ma siamo anche il Paese che prima degli altri sta sperimentando sulla sua pelle la malattia e insieme anche la cura.
Ci siamo arrivati male anche noi, con scontri tra Stato e Regioni e decreti a raffica che hanno alzato ogni volta di più la soglia dei divieti, degli obblighi, dei finanziamenti. Ma ci siamo arrivati, in qualche modo. Siamo riusciti in un piccolo, grande miracolo: i balconi erano il paradigma narrativo di un populismo che “sconfigge la povertà”, sono diventati il luogo-simbolo di un popolo che resiste a una calamità. Il nuovo pacchetto di aiuti varato dal governo si chiama non per caso “Cura-Italia”. Conte, Gualtieri e Catalfo l’hanno illustrato nel peggiore dei modi, senza spiegare e dettagliare nulla. Ci sono punti oscuri e discutibili, dalla distribuzione dei fondi per i presidi sanitari alla sospensione selettiva degli adempimenti fiscali, dall’aiuto una tantum per le partite Iva alla mancata sospensione delle bollette. Ma ci sarà modo per correggere, aggiustare, integrare. Non è questo il nodo, che semmai riguarda l’attuazione immediata delle norme: se non c’è più tempo per i medici, gli infermieri e le Asl, non c’è più tempo neanche per le famiglie, i lavoratori e le aziende.
Se davvero siamo in guerra, l’Italia ha lanciato un piano da economia di guerra. Il governo ha messo sul tavolo 25 miliardi, e sono tanti per una nazione con un margine fiscale nullo e un debito folle come il nostro. Il premier ha anche aggiunto che sono solo un primo passo: questo decreto si chiama “marzo”, e già sappiamo che poi verrà un “decreto aprile” e poi forse anche un “decreto giugno”.
Come tutte le cure, servono costanza e pazienza.
Nonostante i suoi dissesti di Palazzo e di bilancio, l’Italia una volta tanto sembra avere l’esatta percezione di cosa stiamo rischiando ora e di cosa rischieremo nel giorno in cui il Covid 19 se ne sarà andato, lasciando dietro di sé macerie che neanche nella crisi del 2008 e in quella del 1929 avevamo conosciuto. Noi il nostro whatever it takes lo abbiamo ormai introiettato. In battaglia si combatte, non si sdottoreggia di flessibilità e di patto di Stabilità. Si può dire lo stesso della Ue, che nonostante le belle parole della von der Leyen su di noi, ha stanziato per l’emergenza coronavirus dell’intera Europa gli stessi 25 miliardi che noi siamo già pronti a spendere solo per noi stessi? Purtroppo, per ora la risposta è no. Dobbiamo saperlo. E dobbiamo sapere che la Grande Muraglia costruita intorno al Vecchio Continente, se può essere una risposta indispensabile oggi, deve tornare ad essere inaccettabile domani. In questa Europa senza leader e senza visione, per nostra sventura, il rischio che questo non accada è enorme. «Sta in noi», diceva sempre Carlo Azeglio Ciampi. Anche se adesso, esposti al veleno e privi di antidoto, noi non siamo “in” pericolo: noi siamo “il” pericolo.
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