Cosa prevede la procedura di infrazione

di Vincenzo Piglionica

«Nel complesso l’analisi indica che il criterio del debito dovrebbe essere considerato non soddisfatto e che è quindi giustificata una procedura per i disavanzi eccessivi basata sul debito». È la conclusione a cui è giunta la Commissione europea al termine della sua valutazione del documento programmatico di bilancio presentato dall’Italia, dopo che già il 23 ottobre Bruxelles aveva espresso le sue preoccupazioni, sottolineato l’inosservanza delle raccomandazioni rivolte a Roma nel mese di luglio e sollecitato la presentazione entro tre settimane di un nuovo testo riveduto. La correzione di rotta auspicata dall’Unione non ha tuttavia trovato risposta: il 13 novembre, il governo italiano ha infatti inviato alle autorità europee un documento a saldi e previsioni di crescita invariati, evidenziando come – nonostante le contro-argomentazioni della Commissione – le ragioni alla base dell’impostazione della proposta di bilancio rimassero valide.

Esigenze di rilancio dell’economia, necessità di aggredire le situazioni di disagio e la povertà, indifferibilità degli interventi di attenuazione delle norme in materia pensionistica: queste le prime motivazioni addotte dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria nella lettera inviata ai commissari Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici, per spiegare la posizione dell’esecutivo e ribadire come – nella visione del governo – l’espansione fiscale, le riforme introdotte e la riduzione delle tasse sulle imprese stimoleranno l’incremento del Prodotto interno lordo. Una missiva che però non ha convinto Bruxelles, neppure dopo la decisione di Roma di aumentare l’obiettivo di privatizzazione del patrimonio pubblico per il 2019 all’1% del PIL, così da recuperare 18 miliardi di euro da destinare alla riduzione del rapporto debito/PIL.

Di qui la bocciatura – ampiamente attesa alla vigilia – del documento.

Dal punto di vista giuridico, la governance economica europea si fonda su una complessa impalcatura di regole, contenute tanto nei Trattati quanto in altri rilevanti provvedimenti legislativi: obiettivo dell’Unione, assicurare stabilità nel breve periodo e sostenibilità delle politiche di bilancio nel lungo periodo. Già il Trattato di Maastricht – entrato in vigore nel 1993 – prevedeva il rispetto dei parametri del rapporto deficit/PIL inferiore al 3% e del rapporto debito/PIL inferiore al 60%; ma a conferire sostanza a tali disposizioni sarebbero poi intervenuti il Patto di stabilità e crescita – adottato nel 1997 e quindi rivisto –, il cosiddetto Six pack nel 2011, il Fiscal compact nel 2012 e i regolamenti del cosiddetto Two pack nel 2013. Si rileva dunque come i principali interventi di rafforzamento dei meccanismi di governance siano sopraggiunti dopo lo scoppio della crisi economico-finanziaria nell’UE e nell’eurozona, al fine di garantire un più rigoroso coordinamento delle politiche di bilancio e contrastare la propagazione di situazioni critiche, prospettiva inevitabilmente amplificatasi con l’accresciuta interazione tra le economie europee in un contesto sempre più integrato.

Al fine di assicurare il rispetto dei parametri e dei vincoli di bilancio, il Patto di stabilità e crescita si articola in due bracci: il primo è il braccio preventivo, che attraverso le procedure di sorveglianza tende a far sì che gli Stati si conformino a politiche di bilancio sostenibili, con il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine. Di volta in volta – e sulla base delle specificità dei singoli Stati membri – le autorità europee valutano se i programmi di stabilità predisposti dagli Stati siano sufficienti o vadano rafforzati. Il secondo braccio è invece quello correttivo, che mira a garantire – previa valutazione della presenza di eventuali fattori mitiganti che giustifichino la violazione dei vincoli – il rispetto dei parametri del 3% di rapporto deficit/PIL e del 60% del rapporto debito/PIL. Il braccio correttivo si sostanzia nella procedura per i disavanzi eccessivi prevista dall’art. 126 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), dove la parola ‘disavanzi’ contempla sia lo sforamento del parametro del 3% che la violazione del vincolo del 60%. Ed è proprio questo lo scenario che si apre davanti all’Italia dopo la bocciatura del documento programmatico di bilancio.

Le considerazioni della Commissione sono esplicite: il debito pubblico dell’Italia – che nel 2017 si attestava sul 131,2% del PIL – supera il valore di riferimento del 60% stabilito nel Trattato e nuove valutazioni sui parametri si sono rese necessarie perché i piani di bilancio per il 2019 presentati da Roma modificano «in maniera sostanziale i fattori significativi analizzati dalla Commissione lo scorso maggio». Bruxelles ha inoltre constatato come il possibile peggioramento delle condizioni macroeconomiche non sia di per sé sufficiente a spiegare gli ampi divari dell’Italia dai parametri di riduzione del debito previsti, rilevando ancora che i piani del governo implicano «un notevole passo indietro» sulle riforme strutturali del passato e che permangono il rischio di una «deviazione significativa» dal percorso di aggiustamento raccomandato verso l’obiettivo di bilancio a medio termine nel 2018 e l’inosservanza particolarmente grave per il 2019 della raccomandazione rivolta all’Italia dal Consiglio UE il 13 luglio.

Occorre precisare che la procedura dettagliatamente esplicitata dall’art. 126 del TFUE appare lunga e laboriosa: se infatti ritiene che esista o possa determinarsi in futuro un rischio di disavanzo eccessivo, la Commissione è tenuta a trasmettere un parere allo Stato membro interessato e a informare il Consiglio, al quale poi compete – su proposta della Commissione e previa valutazione delle osservazioni formulate dallo Stato membro – decidere se il disavanzo eccessivo esista. Il Consiglio adotta quindi le raccomandazioni necessarie per far cessare la violazione, raccomandazioni a cui lo Stato – entro i tre e i sei mesi – è tenuto a conformarsi. Qualora lo Stato si dimostri adempiente, può essere avviato l’iter per la chiusura della procedura, ma se la violazione persiste il Consiglio – su raccomandazione della Commissione – può intimare allo Stato membro di adottare tutte le misure che siano ritenute necessarie per correggere la situazione. Finché lo Stato non ottempera, il Consiglio può decidere di applicare ed eventualmente rafforzare una serie di misure sanzionatorie, dalla richiesta di costituzione – da parte dello Stato interessato – di un deposito infruttifero presso l’Unione in un range compreso tra lo 0,2% e lo 0,5% del PIL, all’invito alla Banca europea per gli investimenti a riconsiderare la sua politica di prestiti verso lo Stato membro in questione.

In tale prospettiva, appare dunque chiaro che a destare preoccupazione non sono le conseguenze di breve periodo direttamente riconducibili all’avvio della procedura, quanto piuttosto le possibili reazioni – in termini di più accentuata sfiducia verso l’Italia – degli operatori attivi sui mercati alle posizioni espresse da Bruxelles.

Da una parte, Moscovici ha evidenziato come il passo effettuato dalla Commissione rappresenti l’«inevitabile conseguenza» delle decisioni adottate dal governo italiano, ma dall’altra ha voluto precisare come la procedura per i disavanzi eccessivi non sia ancora stata attivata: gli Stati membri dovranno infatti esprimere le loro valutazioni entro due settimane, e solo successivamente l’iter proseguirà, includendo nuove raccomandazioni affinché l’Italia corregga la traiettoria del deficit e del debito. Le porte della Commissione rimangono dunque aperte al dialogo, ma in caso di avvio della procedura – ha precisato sempre Moscovici – oltre al confronto sarà necessario tanto sangue freddo. Intanto, il primo ministro Giuseppe Conte si è detto pronto a un «confronto costruttivo» sabato con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, per valutare come andare avanti.