A CARTE COPERTE ASPETTANDO CHE SI APRANO I VERI GIOCHI.

 

La Nota
La tattica In attesa del verdetto del 4 marzo la tattica sovrasta le ultime mosse elettorali dei partiti, percorsi da tensioni anche interne
S ono ultimi giorni dominati dal tatticismo: a conferma che i veri piani emergeranno soltanto dopo il voto. E la quasi certezza che nessuno dei partiti né delle coalizioni riuscirà a ottenere una maggioranza sufficiente a governare, acuisce la cautela in tema di alleanze. È significativo che, dopo avere lasciato capire di essere pronto a un esecutivo con tutti, Pietro Grasso, leader di Leu, abbia voluto specificare di riferirsi a un accordo solo per cambiare la legge elettorale. C’è il timore di disorientare i sostenitori, e insieme di acuire le tensioni all’interno dei partiti.
Basta vedere quanto accade nel centrodestra e nel Pd; e i segnali contraddittori nel M5S. Così, un Silvio Berlusconi tallonato dal protagonismo leghista, si definisce «garante del nostro governo in Europa»: proprio nel giorno in cui Matteo Salvini ripropone la sua freddezza verso l’euro, sostenendo di non volerne uscire solo perché l’Italia pagherebbe un prezzo altissimo; e mentre la leader di FdI, Giorgia Meloni, incontra il controverso premier ungherese Viktor Orbàn. E propone che l’Italia guardi «più al gruppo di Visegrad».

È l’alleanza tra Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, nucleo duro e ostile alle istituzioni di Bruxelles. La divergenza è su un tema dirimente. Proietta un’ombra sulla tenuta del centrodestra, se non avrà i seggi per governare da solo. Ma problemi di tenuta li sta vivendo anche il Pd. Il sostegno crescente a Paolo Gentiloni premier presente e futuro è un larvato segno di sfiducia verso Matteo Renzi: quasi un modo per dirgli che la sua stagione volge al termine; che solo Gentiloni potrebbe arginare un disastro.

Il segretario, però, sa di controllare ancora il Pd; e di avere un gruppo parlamentare di fedelissimi. Per questo ha già detto che non si dimetterà, in caso di sconfitta. E si è tenuto la porta aperta per un passaggio del Pd all’opposizione, se non sarà il primo partito. «Non ce l’ha detto il dottore di andare al governo». Parole, di nuovo, tattiche. Ma forse anche un avvertimento a chi nel Pd si prepara a insidiarne la leadership, puntando su Gentiloni come premier di un esecutivo allargato oltre FI.

Renzi evoca il pericolo di «un governo Cinque Stelle-Lega»: una miscela politica che preoccupa le cancellerie europee. Ma Luigi Di Maio, candidato del Movimento, accredita ogni giorno percentuali in ascesa. E si gode l’effetto ottenuto con la presentazione del suo governo virtuale, con lista spedita al Quirinale: operazione spregiudicata, che si accompagna a riconoscimenti quotidiani al capo dello Stato, Sergio Mattarella, e alla negazione di qualunque alleanza. Di nuovo, tattica; aspettando, come tutti, il 4 marzo.

 

Corriere della Sera. www.corriere.it/

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