“E se unissimo il 2 giugno e facessimo un concerto vuoto in diretta sulle scale dell’Altare della Patria?”, insiste Ezio. La seconda proposta, rivela Bugani, “era in fase di realizzazione. Celebrare la festa della Repubblica con una musica, la sua, davvero in grado di riunire il Paese. Non ha fatto in tempo, ma potremmo comunque studiare una maniera per omaggiare quest’uomo che avevo ribattezzato Grande Anima”. E ce n’era una terza, di idea, alla quale Bosso teneva particolarmente. “Era destinata ai bambini del reparto oncologico del Gemelli. Avrebbero visto suonare Ezio dal vivo, ma per via virtuale, sui tablet. Simultaneamente, un grande schermo nel teatro gremito avrebbe mostrato la gioia dei piccoli ricoverati. ‘Mettiamo insieme arte e dolore in un’esplosione d’amore’, diceva lui. Chissà, forse la soluzione è evocare lo spirito e la creatività di Bosso: è ciò che resterà di un genio che ha combattuto da leone contro gli agguati del suo stesso corpo. E contro i calunniatori”, sospira ancora Bugani.“Ezio soffrì moltissimo, a Bologna, per le dicerie che lo riguardavano: insinuavano che la sua fama e i suoi ruoli fossero legati alla disabilità. Sminuendone l’immenso talento. La verità”, insiste Bugani, “è che Bosso era scomodo. Lavorava a titolo gratuito, ma scavava a fondo nella realtà paludosa delle filarmoniche, i doppi incarichi, le spese disinvolte. Voleva fare pulizia. Un giorno, nella bacheca sindacale del Comunale, fu affissa una lettera firmata da 51 dei 90 professori d’orchestra, che si lamentavano per ‘incontri privati sulla gestione e la programmazione’ di Bosso con ‘alcuni dipendenti della Fondazione’. I musicisti precisavano di parlare ‘a titolo personale’, ma la miccia era accesa. Il sindaco Merola e il sovrintendente Sani riconfermarono la solidità del rapporto con il Direttore Bosso, anche in vista di un grande concerto in Piazza Maggiore nel giugno 2017. L’evento era pensato per il G7 sull’Ambiente, e si risolse in un grande successo. Ma qualcuno sottolineò altri screzi tra Ezio e degli orchestrali. Dopo giorni di conflitto strisciante, Bosso levò le tende con ironia: ‘Sono costretto a lasciare l’incarico perché parte il tour. Il mio fisico non sopporta troppo stress’. Simili contrasti si riprodussero in altri teatri. Oggi tutti lo piangono, ma in vita fu contrastato perfidamente. Proprio lui, che diffondeva vita e amore”, nota Bugani.

La sera in cui l’Italia l’aveva scoperto, ospite a Sanremo 2016, perfino il cicaleccio dei tweet si era spento durante la sua incantata esibizione in tv. In milioni a bocca aperta ad ascoltare questo prodigio che nessuno conosceva. “Era famoso all’estero”, ricorda con noi Carlo Conti, direttore artistico di quel Festival. “Non c’era stato il tempo di vederci alle prove. Ma in diretta fu come se ci fossimo solo noi due, alle prese con quella chiacchierata così vera e senza filtri, al punto che me ne fregai della scaletta. Io e Ezio eravamo avvolti in una bolla fuori dal tempo, come in quei film in cui tu sei a colori e il resto del mondo in bianco e nero. Fu tutto così spontaneo e illuminante, uno dei grandi incontri della mia vita. Bosso si emozionò parlando della portinaia che gli aveva profetizzato che un giorno sarebbe andato a Sanremo, pur senza cantare. E poi quelle parole commosse dopo la standing ovation, ‘ricordate che la musica, come la vita, si fa tutti insieme’. Quanto suona necessaria quella frase, oggi”, conclude Conti.

Quella notte il Maestro venne a parlarci a lungo, con il sorriso di un bambino che testimoniava di un incantesimo. Ci raccontò del disco The 12th room, in cui giocava con Chopin e Bach. Di quel brano, Following a bird, nato osservando il volo di un uccello, “perché per seguire qualcuno devi prima perderti”. E di quell’antica teoria delle dodici “stanze” nella vita di ogni uomo. “Nella prima ti trovi quando nasci, ma non vedi nulla. Nell’ultima vedrai ogni cosa”. Chissà ieri, quando l’ha attraversata.