“Che degrado nel nostro dibattito politico Senza Ue l’Italia è destinata a sparire”.

IL PROFESSORE Intervista
Parla l’ex presidente della Commissione: “I populisti sono la rovina Questa strategia è una prova d’amore per tutti i cittadini dell’Unione”
Clima natalizio nell’ufficio bolognese di Romano Prodi. Il telefono squilla a ripetizione con l’inno alla gioia di Beethoven. Il Professore cerca di sottrarsi all’intervista: «Il documento è ancora sotto embargo», protesta. Cede alle insistenze solo quando gli mostriamo il testo integrale sul tablet. Allora accetta di discuterlo con La Stampa, in attesa della presentazione ufficiale del rapporto a Bruxelles, a fine gennaio. Che cosa ha risposto quando le hanno proposto questo incarico? «All’inizio, no grazie. Non sono uno specialista nelle tecniche delle politiche sociali. Mi hanno poi convinto spiegandomi che si trattava di elaborare una proposta con un grande significato politico». Quali input ha dato alla task force? «L’input è stato per una proposta di altissimo livello e di grande impatto su tutta la società europea. Abbiamo convenuto su un obiettivo preciso e concreto: concentriamoci su salute, istruzione, edilizia. Scriviamo in modo chiaro, preciso e sintetico, massimo 80 pagine. Altrimenti ci diranno che costruiamo l’ennesima montagna di carta». Alla fine le pagine saranno un centinaio. «Eh, li ho perdonati solo perché ci hanno messo dentro molti grafici e figure». Come spiegare agli Stati che l’Ue si occuperà anche delle infrastrutture sociali? «Secondo la nostra proposta, l’Ue interviene per reperire le risorse finanziarie necessarie per questo grande piano ma i progetti li scelgono gli Stati e gli enti locali, secondo il principio di sussidiarietà. Non c’è un Leviatano europeo, ma un aiuto». Un’altra possibile obiezione: si fa un piano europeo con l’obiettivo surrettizio di aiutare solo alcuni Paesi, per giunta i più spreconi. «Il deficit di infrastrutture sociali riguarda tutti i Paesi, e ciascuno al suo interno ha aree arretrate. Anche la Germania ha un grosso problema nel settore scolastico, e non solo nell’Est». Come avete scelto gli esperti della task force? «Con la libertà che consente di capirsi e di fare le cose bene. Molte nazionalità, molte competenze, molto desiderio di cimentarsi». Quali sono stati gli interlocu­ tori a livello istituzionale? «Il lavoro dei nostri esperti con i loro omologhi nella Commissione è stato eccellente, l’interlocuzione persino sorprendente». E a livello politico? «Il fatto che la presentazione avverrà con il vicepresidente della Commissione, che tra l’altro non è un mediterraneo, significa molto». Poi che cosa accadrà? «Il piano deve essere fatto proprio dalle istituzioni europee. E deve partire subito. Altrimenti diventa uno dei tanti piani inattuati». Come può incidere lo scenario politico? «Il principale punto interrogativo è lo stallo post elettorale in Germania. Tuttavia dal governo che si formerà mi aspetto un pregiudizio favorevole nei confronti di questo piano. E così anche dai governi più scettici, come quello ungherese e quello polacco». Come mai ha questa aspettativa? «La principale critica che si fa all’Ue è di essere l’Europa dei banchieri e dei tecnocrati. Questo piano rappresenta il volto di un’altra Europa, che viene incontro ai bisogni della gente non a chiacchiere, ma con realismo, serietà e solidità finanziaria». Che cosa vuol dire per l’Italia? «Siamo così arretrati in questi settori che da soli potremmo assorbire tutte le risorse disponibili. La differenza la faranno la qualità dei progetti e l’efficienza della spesa». Quali sono oggi le principali minacce per l’Europa? «Migrazioni, destabilizzazione sociale causata dalla globalizzazione e disuguaglianze alimentano il populismo. Questo piano è una prova d’amore tangibile per tutti i cittadini. Il messaggio è che insieme questi problemi si affrontano meglio». Gli ultimi dati di Eurobarometro segnalano uno spostamento dell’opinione pubblica italiana in direzione euroscettica. Che cosa ne pensa? «Ne penso male, molto male. Ma non sono stupito». Perché? «Da un lato è la conseguenza degli errori compiuti nella gestione della crisi da parte europea e dall’altro è la conseguenza di una corsa di una grande parte della classe politica nazionale a cavalcare l’antieuropeismo più demagogico. L’obiettivo di ricavarne benefici elettorali nel breve periodo viene scambiato irresponsabilmente con la certezza di rovinarci nel lungo». E il ritorno di fiamma dell’ipotesi di referendum per uscire dall’euro? «È la misura più allucinante del degrado del dibattito politico italiano. Forse non è chiaro che senza un aggancio all’Europa noi scompariamo dalla faccia della terra». Che cosa intende con un’espressione così radicale? «L’euro è il nostro futuro, nonostante gli orrendi errori fatti negli anni della crisi, che l’hanno trasformato in fonte di nuove divisioni e disuguaglianze. Con questa proposta lavoriamo per riportare l’Europa sulla strada giusta». L’Europa è la prima causa dell’euroscetticismo? «L’accelerazione degli ultimi mesi si innesta su un problema di fondo di cui Bruxelles porta grandi responsabilità. È impossibile farsi amare se non si ama. Vale anche tra istituzioni e popoli». A proposito di amori: che effetto le fa ascoltare discorsi euroscettici anche dalla parte politica di cui lei è stato un fondatore? «È meglio per tutti che lei non mi faccia questa domanda».
La Stampa.
www.lastampa.it/