C’è un prima e un dopo Gianni Rodari, nelle favole moderne. Laddove il maestro della fantasia, maestro in tutti i sensi ché insegnava alle elementari, ribaltò la prospettiva della fiaba, rivalutando la mortifera cicala, simbolo di dissoluzione. “Chiedo scusa alla favola antica,/ se non mi piace l’avara formica./ Io sto dalla parte della cicala/ che il più bel canto non vende, regala”, illustrata da Altan in uno dei primi quattro volumi mandati in libreria da Einaudi per il centenario della nascita in questo 2020 appena iniziato, che è anche il quarantesimo della morte dello scrittore: Cento Gianni Rodari; La Freccia Azzurra; L’omino di niente; Bambini e Bambole.

Gianni Rodari nacque il 23 ottobre 1920 a Omegna, che si affaccia sul lago d’Orta, in quella che oggi è la provincia di Verbano-Cusio-Ossola, in Piemonte. Morì a Roma il 14 ottobre 1980. Quattro giorni prima era stato ricoverato per un intervento alla gamba sinistra. Finì per un collasso cardiaco.

Di formazione comunista, non senza un passato da seminarista, Rodari ebbe una parabola di enorme successo nella letteratura per bambini. Forse anche per questo rimase sempre comunista, senza i dubbi dei suoi “colleghi” intellettuali. Anzi, i suoi viaggi in Unione Sovietica furono propedeutici a una fama internazionale a tutto tondo. Fu anche giornalista, scrivendo sull’Unità e Paese sera. Prima ancora aveva diretto L’Ordine Nuovo fondato da Antonio Gramsci.

Non a caso la predetta cicala è la protagonista di Rivoluzione: “Ho visto una formica/ in un giorno freddo e triste/ donare alla cicala/ metà delle sue provviste./ Tutto cambia: le nuvole,/ le favole, le persone…/ La formica si fa generosa…/ È una rivoluzione”. Spesso capita di usare la retorica in questo tipo di celebrazioni, ma lo sguardo di Rodari oltre a volare e a donare fantasia a grandi e piccini, fu davvero anticipatore dei mali odierni, in un’Europa spazzata dal rinnovato vento del razzismo e dell’odio. Ed è quello che si coglie nell’introduzione di Neri Marcorè a uno dei suoi libri più famosi: La Freccia Azzurra, da cui è stato tratto anche un film d’animazione. È la favola della Befana baronessa e di Francesco, in cui i poveri finalmente ricevono giocattoli in regalo. Ne deduce Marcorè: “Se penso al me bambino che leggeva questa storia nata prima di me, mi accorgo che sono cambiati i termini, più adulti, più intellettuali. Allora non avrei usato la parola ‘disabilità’ pensando al Pilota senza gambe, né avrei pensato alla ‘dignità’ del Generale, o alla ‘rete di assistenza’ per la vecchina dalle mani gelate, o alla ‘rivoluzione’ per la decisione dei giocattoli di riscattare la ‘povertà’ di Francesco, con un gesto di vera ‘solidarietà’. Insomma sono cambiate le etichette, razionalizzate le categorie”.

L’esatto contrario del linguaggio rodariano, dove bastava un refuso o un errore a far nascere qualcosa, come Lamponia al posto di Lapponia. Ed è forse proprio questa l’eredità più bella del Maestro Rodari, con la maiuscola: aver agganciato le parole a un mondo senza confini, non senza scavare nel profondo e portare alla luce le ingiustizie. Oggi lo chiamano umanesimo, ma in realtà la teoria comunista è stata anche questo. Una lotta incessante contro le ineguaglianze di ogni genere. “Abbiamo parole per uccidere/ parole per dormire/ parole per fare solletico/ ma ci servono parole per amare”. Dove in quel “ma” si nasconde il male universale. Non è un caso, allora, che Rodari si rivolgesse ai bambini. E non è un caso che le sue opere gli abbiano fatto vincere, unico italiano, nel 1970 il premio Hans Christian Andersen, una sorta di Premio Nobel della letteratura per l’infanzia.

Tra i suoi lavori vanno citati sicuramente: Le avventure di Cipollino, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono, Il libro degli errori. Grammatica della fantasia è considerata invece la summa del suo pensiero, definiamolo pure così, irrinunciabile per chi vuole educare i bimbi alla lettura. Ergo, Rodari scrittore, favolista, inventore di giochi di parole, poeta, autore di filastrocche, maestro e pedagogista. Morto purtroppo a soli 59 anni.

Nel 1953 aveva fatto un matrimonio militante. Aveva infatti sposato Maria Teresa Ferretti, allora segretaria del gruppo parlamentare del Fronte democratico popolare, il fronte socialcomunista battuto alle elezioni del Quarantotto dalla Dc di De Gasperi e Gedda. Diceva Rodari: “La fiaba è un modo di parlare del mondo, di parlare delle cose; è un modo di entrare nella realtà anziché dalla porta, dal tetto, dal camino, dalla finestra”. E per farlo ci vuole un talento fuori dal comune. Ecco ancora come la politica entra dal camino delle parole. Ecco Il Dittatore, che molti troverebbero attualissima: “Un punto piccoletto,/ superbioso e iracondo/ – Dopo di me – gridava/ – verrà la fine del mondo!/ Le parole protestarono: / – Ma che grilli ha pel capo?/ Si crede un Punto-e-basta,/ e non è che un Punto-e-a-capo./ Tutto solo a mezza pagina/ lo piantarono in asso,/ e il mondo continuò/ una riga più in basso”.

Cent’anni di Rodari ci fanno sentire meno soli e soprattutto bambini come una volta.