Case comunali: è scandalo.

La gente cialtrona come gli amministratori
Milano con 20 immobili incassa più di Roma con 42mila. L’85% degli inquilini della capitale non paga l’affitto. A Napoli il municipio ignora quanti edifici possiede
Il fallimento di Virginia Raggi e della sua amministrazione è in un pugno di date e numeri pubblicati sul sito di Roma Capitale. L’elenco dei canoni percepiti per le abitazioni di edilizia residenziale pubblica è aggiornato al 30 novembre 2016: chissà se a via Palmiro Togliatti c’è ancora chi paga un affitto di 93 euro, ovviamente annuali. La lista dei 799 immobili del patrimonio capitolino affidati in concessione non viene aggiornata invece dal febbraio dello scorso anno e da leggere contiene ben poco. Il nome di molti intestatari è coperto da un «omissis», per ragioni di privacy, e gran parte delle caselle dove dovrebbe apparire il canone incassato dal Comune contiene un asterisco: una nota spiega che il dato «è in lavorazione», ovvero che non si sa quanto renda quell’immobile. Da mesi, una nota imbarazzata avverte che i dati relativi a utilizzatori, occupazioni abusive, morosità, diffide, aggiornamento delle stime in base ai valori di mercato, procedure di sgombero e così via «sono in fase di verifica e riordino a seguito delle attività sviluppate dal Dipartimento e tuttora in corso». A un anno e mezzo dall’insediamento della sindaca grillina, significa che i suoi uffici ancora non sono stati in grado di fare una radiografia del patrimonio immobiliare loro affidato. L’alibi della Raggi, consistente nel dare la colpa a chi ha amministrato (malissimo) la città prima di lei, diventa ogni giorno meno credibile. La gestione degli immobili, intanto, continua a bruciare soldi. Dei romani, che pagano le tasse locali più alte d’Italia in cambio di servizi scadenti. E degli altri italiani, (…) segue a pagina 2 segue dalla prima (…) chiamati periodicamente a staccare un assegno alla capitale: denaro che dovrebbe servire ad avviare investimenti e che, invece, finisce sempre bruciato nel forno delle casse comunali. Pur possedendo 25.035 abitazioni, 352 locali commerciali e oltre 18mila pertinenze (ma il numero reale potrebbe essere più alto), il Campidoglio riesce infatti a spendere più soldi in affitti di quanti ne riscuota. I dati del 2015, gli ultimi disponibili, dicono che gli introiti incassati dalle locazioni ammontano a 24,9 milioni di euro. Meno di quanti ne ricavi il comune di Milano dai 55 negozi affittati nella zona del Duomo. A fronte di tali entrate, Roma Capitale paga 25,3 milioni di euro per prendere in affitto immobili che, a sua volta, concede a chi è o meglio dovrebbe essere – in condizioni di emergenza abitativa. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che tra gli inquilini delle case popolari, come ha raccontato nei giorni scorsi la stessa sindaca, ci sono almeno duemila abusivi, incluso il signore che possedeva diciotto immobili, ma riteneva più conveniente abitare a spese altrui. Alcuni hanno redditi che arrivano a 90mila euro l’anno, possiedono Porsche o hanno occupato case i cui intestatari sono deceduti da tempo. Altri 34,4 milioni di euro il Comune li spende per affittare le sedi dei propri uffici. La differenza tra affitti pagati e incassati ammonta così 34,8 milioni di euro. Un rosso in bilancio che è tale solo per motivi di malagestione, se è vero ciò che disse meno di due anni fa il commissario straordinario della città, Francesco Paolo Tronca. E cioè che, solo nel centro storico, l’85% degli inquilini che occupa case o negozi di proprietà del Comune non paga l’affitto, causando ogni anno mancati guadagni per 4,5 milioni di euro. Che esistono locali – lui ne contò trenta – appartenenti al Campidoglio, eppure mai censiti nel sistema comunale. E che la morosità storica complessiva di tutti gli inquilini del Campidoglio era pari a 357 milioni di euro. Succede, quando il patrimonio è di tutti e dunque è come se fosse di nessuno: equazione che non vale in tutta Italia, ma nella capitale sì. Cambiare l’andazzo spetterebbe a Virginia Raggi, che pare metterci tutta la buona volontà, ma le cui capacità, sinora, si sono dimostrate tragicamente inferiori alle ambizioni.
Libero.
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