Ariani e veline.

di Massimo Gramellini

Gentile Mikaela Neaze Silva, come velina bionda di colore della prossima edizione di Striscia, lei è diventata l’ultimo pretesto di questa ridicola contesa intorno alla purezza della razza meno pura del mondo, quella italiana. Tra i commenti della Rete, ripresi con preoccupazione dai siti giornalistici, c’è chi l’accusa di togliere lavoro alle bionde nostrane (per tacere delle svedesi), chi la considera uno spot a favore dei migranti e chi minaccia lo sciopero del telecomando fino a quando Antonio Ricci non sostituirà «la bionda africana» con una sosia della Cuccarini o almeno della Hunziker, che è confinante.

I suoi oppositori ignorano che tra le tante lingue da lei parlate c’è il dialetto ligure, poiché vive tra Camogli e Genova dall’età di sei anni. Ma vorrei tranquillizzarla. «Il popolo del web» che la disprezza è una esigua minoranza persino tra coloro che commentano sul web. Se dieci cretini scrivessero «Voglio una velina ariana» sulla parete di un gabinetto pubblico, nessuno ci farebbe caso.

Ma, dal momento che adesso possono diffondere il loro verbo con i telefonini, diventano una notizia, il sintomo di una malattia inesistente o comunque sovrastimata. Mi creda, Mikaela: la stragrande maggioranza degli italiani non è razzista. Semplicemente ha altro da fare.