Alziamola testa (e gli studi)

di Daniele Manca

L’allarme è nazionale, ma vede la Toscana in prima linea. Nel settore del turismo ci sarebbero almeno 1,3 milioni di posti di lavoro a rischio. Da gennaio a maggio le assunzioni nel settore si sono ridotte dell’80% per i contratti di lavoro stagionali e del 60% per quelli a tempo determinato. Saranno necessari aiuti e agevolazioni alle imprese che vogliono investire sulla ripartenza. Ma è evidente che le conseguenze dovute al Covid cambieranno molto sul fronte economico e del lavoro. Cambiamenti da non sottovalutare sia per chi ha un’occupazione sia per chi sta studiando o si sta preparando per cercarne una. Il turismo, gamba importante nella creazione di ricchezza del Paese — il 13% del Pil nazionale nel 2019 — grazie a regioni come la Toscana, è destinato a rivedere completamente la propria offerta. Un servizio più sofisticato richiederà professionalità diverse e al tempo stesso più elevate. Ne va della sopravvivenza delle aziende e di quanti vogliono esercitare una professione nel settore. Si dovrà ricominciare da una rinnovata consapevolezza di cosa è il nostro Paese. Quando vogliamo «trattarci bene» e vogliamo essere ottimisti sul nostro futuro, pensiamo sempre a quell’essere seconda potenza manifatturiera in Europa.

O al fatto di aver leadership indiscusse in settori come la meccanica, l’aerospazio, l’agroalimentare. Troppo spesso ci sfugge il fatto che dal punto di vista culturale siamo una super potenza. Sarà necessario un cambio di atteggiamento. Come diceva John Kennedy: quando la marea sale tutte le barche galleggiano. Persino i relitti. Il problema si pone quando questo non accade. Ed è inutile farsi illusioni, difficilmente si tornerà alla situazione pre Covid, e comunque non rapidamente. Dovremo sfruttare fino in fondo il primato culturale dell’Italia e segnatamente di regioni come la Toscana in tutte le sue articolazioni, dalle città ai Comuni ai territori. Si dovrà essere creativi. L’offerta dovrà fare del digitale un motore di crescita, sia nella fruizione in loco sia in quella distanza. Ma come possiamo pensare di farlo con una media di laureati in discipline tecnico-scientifiche che è pari a 13,5 persone ogni mille cittadini contro una media europea che è quasi il doppio? A questo aggiungiamoci il fatto che nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni solo il 28% dispone di un diploma di media superiore, in Germania è poco più del 10%. Ancora più grave è che tra i 55 e i 64 anni quella percentuale salga al 72%. Sbaglieremmo però a pensare che puntare sulla cultura significhi ingolfare i licei. Il contrario. Si tratta di innalzare ancor di più semmai l’offerta formativa di quegli istituti che preparano professionalmente i giovani. E questo proprio per combinare l’aspetto tecnico-scientifico a quello culturale per renderlo uno degli elementi di competitività dei singoli e quindi anche delle comunità. Vale per i giovani ma vale ancor di più per le età di mezzo. Il concetto di apprendimento continuo non può essere applicato come accade in Italia solo a 8 lavoratori su 100. In Francia siamo a quota 20, inarrivabile la Svezia con una formazione continua che coinvolge 34 occupati su 100. Il Covid purtroppo ci ha costretti in molti casi a fermarci. Ma quanto si è pensato di trasformare questa sosta in un periodo di studio e conoscenza? Ecco cosa significa cambiare approccio.

 

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