di Franco Venturini
Tra i molti boomerang che Vladimir Putin ha incautamente lanciato decidendo l’invasione dell’Ucraina, quello europeo sta diventando il più importante. Perché ha scosso dalle fondamenta una Unione che si sentiva troppo al sicuro, ma anche perché una formula che coinvolge l’Europa potrebbe diventare presto l’unica via di fuga rimasta a uno zar che ha mal calcolato tre fattori cruciali.
Tre fattori come la tenacia del «fratello» popolo ucraino, la reazione di un Occidente che sembrava sbandato ma non lo è più grazie agli errori di calcolo del Cremlino, e soprattutto la durata della guerra e l’ammontare delle perdite che stanno logorando il consenso interno in Russia.
Le sanzioni erano scontate, e ci vorrà almeno un paio di mesi per capire quale sarà stato il loro impatto, se davvero, dopo il Carl von Clausewitz che diceva «la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi», si scoprirà che oggi l’economia e la finanza sono la continuazione della guerra con altri mezzi. Le sanzioni sì, ma non era per nulla scontato che l’Unione europea pagasse e inviasse armamenti ai resistenti ucraini. Non era scontato che si muovesse unitariamente come quasi mai era riuscita a fare. E che la Germania attuasse una svolta epocale stanziando somme ingenti per le sue forze armate, o che attorno al progetto della difesa europea si creasse un consenso che non c’era mai stato prima.
Intendiamoci, malgrado la «scossa» che viene da Kiev la difesa europea è ancora lontana, e non è il caso di gridare al battesimo del fuoco. Perché a battersi sono gli ucraini e non noi. E anche perché senza voto a maggioranza per la politica estera e la sicurezza resterà molto difficile per l’Unione europea, dopo l’Ucraina, elaborare una visione geopolitica comune. Ma non è questo l’unico aspetto della guerra e della pace che potrebbe tra non molto coinvolgere l’Europa.
L’Ucraina, si sa, ha fatto formale richiesta di adesione alla Ue, e a favore del suo ingresso si sono espressi, forse in un clima troppo emotivo, la presidente della commissione Ursula von der Leyen e il Parlamento di Strasburgo. Più realista è stato il responsabile della politica estera Josep Borrell, che ha rilevato come in proposito esistano «opinioni diverse». Assorbire un Paese grande come la Francia con più di quaranta milioni di abitanti non è facile. Non solo, l’Ucraina potrebbe aumentare il peso nella Ue dei Paesi dell’Est a scapito degli occidentali, Francia e Germania in testa. Ma se la via europea per l’Ucraina fosse l’unica per arrestare la guerra, prevarrebbero ancora le opposizioni mascherate e le difficoltà burocratiche?
Non è detto, e questa potrebbe diventare la novità più importante di tutte. Già prima dell’invasione russa un compromesso-fantasma aleggiava nelle Cancellerie occidentali e forse anche al Cremlino. Partiamo dall’equazione che accompagna le ostilità. L’Occidente ha giustamente detto no alla nuova Yalta che Putin reclamava, e non ha messo per iscritto che l’Ucraina non entrerà mai nella Nato anche se la sua eventuale cooptazione non era né per oggi né per domani. Da qui è nata la decisione di invadere. Ma la guerra va male per Mosca, dura troppo, e il Cremlino sin qui, malgrado la disinformazione di entrambe le parti, sembra non volere l’adozione del «metodo Grozny» ben noto ai militari russi: prima assedio le città, poi le distruggo, poi entro e vinco.
Perché non perseguire, allora, un accordo negoziale che preveda l’ingresso accelerato dell’Ucraina nella Unione europea, la sua neutralità (dunque niente Nato), e una serie di garanzie per tutte le parti in causa? Il Cremlino per ora parla con gli uomini del presidente-eroe Zelensky, ma è chiaro che la sua iniziativa (è stata Mosca a proporre gli incontri al confine tra Bielorussia e Polonia) è diretta anche agli occidentali. Visto come gli va la guerra, Putin potrebbe accettare la formula «Unione europea più neutralità». Anche perché, come ha detto giustamente il politologo Ian Bremmer a Massimo Gaggi, se si vuole la pace bisogna lasciare a Putin il modo di salvare la faccia almeno in parte. Altrimenti sarà guerra totale, e la Russia è una potenza militare, anche nucleare. Quanto agli europei esitanti, davvero si opporrebbero a una intesa che potrebbe portare alla sospirata pace? E l’Ucraina non potrebbe finalmente smettere di essere uno Stato-cuscinetto e rafforzare i suoi legami con l’Occidente, con la Ue e senza i missili che allarmano i russi?
Nessuno può dire, oggi, se questo schema abbia qualche possibilità di affermarsi. La sola idea di trattare con Putin mentre la sua guerra infuria appare di difficile attuazione, quasi scandalosa. Ma le guerre, come è noto, sono facili da cominciare e difficilissime da finire. E invocare la pace in astratto non è mai bastato. Per trattare serve la premessa minima di un cessate il fuoco, serve che Putin si renda conto che sta perdendo la guerra, e che anche se la sua forza superiore dovesse prevalere con un massacro del popolo «fratello» gli ucraini sopravvissuti, ma anche i russi impoveriti, gliela farebbero pagare.