La giunta Giani
Eugenio Giani vive probabilmente con la calma di un notabile di lungo corso le ambasce d’un parto che si è rivelato sempre più difficoltoso: varare una giunta efficiente e ampiamente accettata. Il campo della politica è sconvolto da una crisi che dura da anni e per migliorare le cose ci si è illusi di porvi rimedio accumulando indirizzi e parametri: una sorta di algoritmo utile per individuare scelte fondate su una griglia rassicurante. Tre criteri si sovrappongono chiedendo di essere contemperati in un’accettabile sintesi. Il primo, il territorio: ogni provincia vuole essere rappresentata nella squadra degli otto che il presidente dovrà guidare. Non c’è verso di mitigare l’enfasi su questa categoria decollata negli anni Sessanta; da geologica che è, la parola ha acquistato valenza politica, accentuando il rischio di formare esecutivi caratterizzati da un logica, ricorrendo a termini grossi, più confederale che federale. L’assessore sarà così spinto a tener conto più delle richieste della sua area che della Toscana quale sistema dotato di una sua ricca compiutezza. L’interesse della regione sembra così più affidato alla combinazione di ottiche settoriali che alla capacità di fonderle in proposte concepite in una prospettiva generale. È vero che la Toscana è fatta di Toscane non omogenee, ma proprio per questo sarebbe opportuno non esaltare oltre il limite le domande dei cosiddetti territori, che notoriamente non hanno il dono della parola. Secondo fattore: l’equilibrio di genere. Sacrosanta conquista, ma se tradotta in termini di ossequio matematico complica le cose e traduce in calcolo un tema sostanziale. Anche in questo caso le procedure mettono a nudo che invece di una sensibilità effettiva si preferisce fondare la promozione della giusta presenza dei sessi in una banale somma. E se fosse più consono alla bisogna avere un governo prevalentemente femminile che cosa ci sarebbe da opporre in termini di competenze possedute e comprovate attitudini? Infine sopravvive – terzo e vetusto incomodo – il bilancino da seguire per dosare partiti, correnti, gruppi o liste, insomma le varie etichette partitiche o civiche o tematiche. Se un forte candidato assessore pisano è zingarettiano, ma c’è già pronto uno zingarettiano livornese come si fa? Se Italia viva (non molto) ambisce ad un posto ed è possibile accontentarla solo con un senese, come soddisfare le richieste di chi da quelle parti ha ottenuto un successo di preferenze? L’algoritmo diventa un rompicapo. E può dar luogo a nuove forme di lottizzazione compromettendo il prioritario obiettivo di privilegiare personalità salde e conosciute, un po’fuori dalla mischia delle contese effimere di vecchio conio. Il pericolo di fare passi indietro anziché di avanzare nel rinnovamento è palpabile. Sofisticati dosaggi e lambiccati accorgimenti finirebbero per confermare vizi e consuetudini che non accrescono un rapporto di fiducia verso le istituzioni.
Roberto Barzanti
“Corriere Fiorentino”, 27 settembre 2010