Stamattina a Parigi comincia il processo a 14 imputati della carneficina di Charlie Hebdo, la rivista satirica nella cui sede, nel gennaio 2015, i terroristi islamici ammazzarono 12 persone. Ieri la notizia è girata qua e là per la scelta del direttore di ripubblicare le vignette sacrileghe su cui fu pronunciata la sentenza di morte, s’è letto qualche articoletto di rievocazione più che di commemorazione, ma della stentorea e commossa difesa della libertà occidentale d’opinione, fuoco fatuo di quei giorni, nemmeno una scintilla.
La libertà di Charlie Hebdo in Italia è affare ozioso, o gingillo per molesti maniaci dello stato di diritto, almeno dallo scandalo sollevato dalle vignette sul terremoto di Amatrice e sul ponte di Genova, altrettanto oscene di quelle su Allah. Come combattenti della jihad, soltanto e per fortuna senza la passione del sangue, anziché discutere le opinioni pessime o sgradevoli, contiamo di impedirle. Per esempio, si incitò a togliere di mezzo il libro di Walter Siti (Bruciare tutto) poiché conteneva descrizioni di impulsi pedofili. Si incitò a trascinare giù dal palco di Sanremo, con l’appoggio impetuoso e straordinariamente unanime di partiti di maggioranza e opposizione, il rapper Junior Cally per un vecchio testo su un femminicidio. Si incita quotidianamente a mettere i sigilli alle pagine social dei movimenti di estrema destra, non perché contengano calunnie o diffamazioni, ma perché sono ricolme di tesi sconce. Guarda un po’, la stessa sentenza pronunciata dai macellai di Charlie Hebdo, che si avviano alla vittoria: loro tagliano la gola, a noi basta tagliare la lingua.