I dolori dei tedeschi (e i nostri).

 

Elezioni e alleanze
C’ è un sottile e forse anche diffuso compiacimento italiano per le difficoltà politiche che incontra Angela Merkel nel formare il suo nuovo governo. Insomma, anche la stabile per antonomasia Germania affronta le incognite di un quadro politico che dopo le elezioni del 24 settembre non presenta maggioranze di facile costruzione. E potrebbe sperimentare un esecutivo di minoranza o formule di governo nelle quali noi italiani abbiamo una certa dimestichezza. Oppure essere costretta a nuove elezioni come è capitato recentemente alla Spagna. Forse il fatto che non esista un vocabolo italiano, a differenza di quello che avviene nella lingua tedesca, per esprimere la soddisfazione per le disavventure altrui, può aiutarci a guardare alla crisi politica di Berlino con il solo metro degli interessi europei, e dunque italiani.
La composizione di un governo, cosiddetto «Giamaica» dai colori delle diverse formazioni, è ostacolata dalla profonda diversità dei programmi. E solo Angela Merkel, che è al potere da 12 anni, e applica un metodo pazientemente scientifico e ostinatamente pragmatico alla sua azione politica, può comporre posizioni così lontane e contrapposte. Quelle, per esempio, tra Verdi e liberali sulle questioni ecologiche. Ma soprattutto sul tema dell’accoglienza agli immigrati che vede la cancelliera criticata anche all’interno del suo stesso partito e, con una certa virulenza, anche dagli alleati storici della Csu.

Colleghi e partner che vedono erodersi il consenso popolare in favore della destra della AfD che alle ultime elezioni ha ottenuto quasi il 13 per cento. I socialdemocratici si sono ancora una volta detti contrari alla riedizione di una grande coalizione. Se si dovesse andare a nuove elezioni è probabile che il peso specifico di una formazione di destra, nazionalista, come AfD, sarebbe destinato a crescere. Così come potrebbe avere nuove conferme il ritorno dei liberali di Lindner, che reclamano la guida del ministero dell’Economia e, per le loro posizioni di rigore finanziario, contrarie alle ragioni dei Paesi del Mediterraneo, fanno rimpiangere il «falco» Schäuble. Insomma, all’Europa, ma soprattutto all’Italia, conviene sperare che la Merkel riesca a trovare la formula chimica del nuovo esecutivo tedesco. Una crisi politica più grave renderebbe la temuta e invidiata Germania più simile all’Italia, ma con ci aiuterebbe affatto. Più simile poi solo in apparenza vista la qualità della classe dirigente politica e il diffuso senso di responsabilità nazionale che rendono del tutto ininfluente la mancanza di un governo anche dopo mesi dalle elezioni. Non c’è fretta di averlo. Del resto le forze politiche olandesi ci hanno messo oltre 220 giorni dal voto per trovare un accordo.

Non va dimenticato che senza l’appoggio di Angela Merkel, il presidente della Bce Mario Draghi non sarebbe riuscito ad attuare la politica monetaria (con la Bundesbank contraria) che ci ha consentito di avviare la ripresa alleggerendo il peso del debito pubblico. Ce ne siamo un po’ dimenticati, ma la colpa è solo nostra. Infatti, quel poco di riduzione di spesa pubblica che abbiamo realizzato – in anni generosi più di bonus che di riforme vere e di struttura – lo dobbiamo all’ombrello monetario della Bce. È diminuita solo la spesa per gli interessi sul debito. Anche il centrodestra italiano dovrebbe sperare nel successo della Merkel, che ha riaccolto Berlusconi nel Partito popolare europeo superando antiche e profonde fratture, anche grazie ai buoni uffici del presidente del Parlamento di Strasburgo Antonio Tajani. La rilegittimazione europea di Berlusconi si è completata con la difesa del ruolo di Draghi, indicato per anni dalla propaganda di Forza Italia (Brunetta è stato avvisato?) come uno dei protagonisti, insieme ovviamente alla Merkel e agli altri poteri europei, di un fantomatico complotto contro il governo in carica nella drammatica estate del 2011. E anche qui vi è stata una curiosa rimozione delle cause storiche di quella crisi. Una rilettura del tutto interessata. Come se il governo Berlusconi dell’epoca non avesse alcuna colpa sul deterioramento dei conti pubblici e sulla crescita del famigerato spread, oltre che per la perdita della maggioranza in Parlamento.

Le difficoltà della Merkel pongono anche più di un interrogativo sulla capacità dell’asse franco-tedesco di trattare una riforma credibile della governance europea, a maggior ragione dopo il confuso e preterintenzionale addio britannico. Forse il rischio politico italiano, ovvero che non vi sia una maggioranza di governo dopo le prossime elezioni – e di cui si occupano con toni persino troppo preoccupati i report delle principali banche d’affari internazionali – è largamente sovrastimato. Anche e soprattutto alla luce delle difficoltà tedesche. Alcuni osservatori più attenti, leggendo i programmi dei vari schieramenti e i possibili effetti sulla spesa pubblica e sulla tenuta dei conti di alcune idee forti (reddito di cittadinanza, flat tax, moneta parallela, pensioni) non sono così allarmati dal fatto che alla fine non vinca nessuno. Poi gli italiani hanno una certa creatività nell’inventarsi formule politiche che oggi ad Angela Merkel farebbero assai comodo.

 

Corriere della Sera.

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