Sono due le certezze che incombono sul panorama del cinema del dopo Covid. Una è che tutto cambierà radicalmente. L’altra è che la Mostra di Venezia, dal 2 al 12 settembre, sarà il primo, vero, luogo del rilancio e della rinascita. I mesi di lockdown, l’incremento della fruizione online, le parziali riaperture delle sale, la boccata d’ossigeno delle arene estive, hanno modificato per sempre le abitudini della fruizione cinematografica. Eppure, oltre le contrapposizioni rigide, oltre le visioni limitate di chi individua il passato nelle sale e il futuro nello streaming, hanno preso corpo nuove alleanze tra i vari soggetti della filiera e ipotesi che, fino a pochi mesi fa, apparivano inimmaginabili. Basta pensare alla storica scelta dell’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences per rendersi conto di quanto sia stata incendiaria la rivoluzione scatenata dalla pandemia: «L’Academy crede fermamente nel fatto che non ci sia modo migliore di sperimentare la magia dei film che vederli sul grande schermo – è la premessa del comunicato diffuso lo scorso 29 aprile – . Il nostro impegno su questo è invariato e irremovibile. Nonostante ciò la pandemia del Covid-19 necessita di questa temporanea eccezione». L’altro mutamento riguarda le date in cui si svolgerà la manifestazione, anche queste effetto diretto del virus. La cerimonia di consegna degli Oscar si terrà a Los Angeles il 25 aprile 2021, mentre l’annuncio delle nomination è previsto per il 15 marzo 2021. In Italia, per scegliere il film da designare, saranno presi in considerazione titoli distribuiti tra il 1° ottobre 2019 ed il 31 dicembre 2020. Insomma, la macchina riparte. Ma con quale tipo di motore?
L’innovazione
La tendenza di fondo che accomuna gli addetti ai lavori, da una parte e dall’altra dell’oceano, è la necessità di far convivere i supporti per potenziare l’industria senza levare nulla a nessuno: «Il periodo eccezionale che abbiamo vissuto – dichiara l’amministratore delegato di Rai Cinema Paolo Del Brocco – ha determinato situazioni che devono essere definite, appunto, eccezionali. Parliamo dell’architettura economica che sta alla base della produzione di un film e che deve essere sostenibile, ma anche di migliaia di posti di lavoro. L’equilibrio nel comparto cinematografico è determinato dalla complementarietà delle diverse tipologie di sfruttamento». Un concetto su cui concorda Andrea Occhipinti, Ceo di «Lucky Red»: «Il Covid ha funzionato da acceleratore di tendenze, le piattaforme hanno acquistato forza e, sempre più spesso, vediamo titoli importanti che saltano la tappa della sala e vengono proposti direttamente in streaming. Anche le storiche major stanno perdendo terreno rispetto ai nuovi colossi dello streaming, penso, ad esempio, a Apple che sosterrà la produzione del nuovo film di Martin Scorsese “Killers of the Flower Moon”». Un colosso che costerà tra i 180 e i 200 milioni di dollari, in arrivo dopo «The Irishman», realizzato da Netflix: «Ormai la battaglia si combatte a colpi di nomi e progetti importanti, scritturando divi e grandi registi».
Il ruolo delle sale
Eppure tutto questo non cancella il ruolo delle sale che esistono, che hanno costi, e che, se gli viene tolta l’acqua, ovvero titoli di richiamo, non hanno possibilità di continuare a vivere. La differenza, ora più che mai, la farà il modo in cui verranno gestite e rilanciate: «Andare al cinema – osserva Occhipinti – deve diventare un’esperienza che vale la pena fare. Il contenitore deve essere importante quanto il contenuto, gli ambienti devono diventare comodi, confortevoli, bisogna prevedere investimenti in questo senso». Secondo Nicola Maccanico, Executive Vice President Programming di Sky Italia e ceo di «Vision Distribution», «lo streaming serve per allargare la platea e non certo per uccidere la sala. Il digitale non può ammazzare i cinema, bisogna incrociare i due mezzi, anche perchè i film, per vivere e quindi produrre ricavi, hanno bisogno di essere visti attraverso diversi tipi di esperienze. E poi non è solo la sala ad aver bisogno dei grandi film, vale anche il contrario, soprattutto da un punto di vista economico, industriale, ma, soprattutto, adrenalinico».
Lo streaming
Durante le settimane più dure dell’isolamento, lo streaming ha vissuto il suo momento d’oro, una moltiplicazione esponenziale di titoli, proposte, occasioni. Sostenuta da più parti, compresa la major Rai Cinema che, spiega Del Brocco, ha promosso l’iniziativa dei film su RaiPlay (titolo del progetto «La Rai con il cinema italiano»). I risultati sono risultati soddisfacenti per tutti: «È stato un esperimento straordinario – dice Del Brocco – che ha dimostrato ancora una volta come l’opera cinematografica sia un contenuto di grandissimo gradimento per il pubblico, pronto adesso in larga scala ad una fruizione on demand complementare a quella di flusso delle Reti Rai». Dal 21 maggio per 8 settimane ogni film, lanciato su tv, digital e social, ha incontrato il pubblico in diversi contesti. La maggior parte delle visioni è avvenuta attraverso le smart tv e/o attraverso mobile o tablet in mirroring sulle tv: «Complessivamente – dice Del Brocco – gli 8 titoli programmati hanno avuto oltre 1.150.000 visualizzazioni “legitimate streaming”, per un totale di oltre 550.000 ore di visione (TTS). Il primo titolo “Magari” di Ginevra Elkann ha avuto il miglior esordio assoluto di sempre nella categoria film sulla piattaforma con 100.000 visualizzazioni nel primo giorno di programmazione e 65.000 spettatori. Il film, ad oggi, ha avuto oltre 400.000 visualizzazioni». L’opera più vista nell’ambito del progetto «Miocinema», guidato da Lucky Red e ideato in collaborazione con le sale, cercando di riprodurre il meccanismo della scelta del cinema da parte dello spettatore (i ricavi sono sttai divisi tra sala e piattaforme) è stato «I Miserabili» di Ladj Li, ma, aggiunge Occhipinti, anche gli altri hanno avuto ottimo seguito. Su Sky Cinema, dice Maccanico, il trionfatore è stato Antonio Albanese con il suo «Cetto c’è senzadubbiamente»: «In tv il prodotto italiano acquisisce maggiore visibilità».Il punto di tutto è comunque nel sistema che, fa notare Maccanico, deve diventare «molto più flessibile». Soprattutto per quello che riguarda le famose finestre, ovvero il tempo che deve intercorrere tra film in sale e film in streaming: «I grandi fenomeni globali possono continuare a vivere la loro vita di sempre, altri possono anche incontrare direttamente il pubblico su piattaforma. Non si protegge la sala con l’obbligo delle finestre di 105 giorni. Bisogna pensare formule miste, quel tipo di finestra risponde a regole anacronistiche». Occhipinti concorda, e parla di «cambiamenti nello scadenzario delle finestre. E infatti c’è già l’ipotesi di ridurre lo spazio a 17 giorni, la Universal e la catena di cinema statunitensi AMC hanno stipulato un accordo che prevede questo tempo, molto più breve». Una scelta che online è stata definita rivoluzionaria.
Strade parallele
Le strade parallele della fruizione devono correre vicine, ma anche con la dovuta attenzione alle storie narrate, perchè, come fa notare Del Brocco, riferendosi alla situazione italiana, «la comunicazione è il mezzo, se i film fossero creati direttamente per delle piattaforme on demand, a lungo andare, assisteremmo ad un cambiamento del linguaggio e dei contenuti proposti dalla cinematografia. Le funzioni culturali e sociali di un film sono e rimangono connesse alla sala. È una questione di tenuta identitaria del Paese, in un contesto dove le narrazioni e i contenuti mediali sono proposti da aziende di dimensioni globali guidate, di fatto, da interessi sovranazionali». Oltre il business continua Del Brocco «ci deve essere anche la responsabilità e la consapevolezza per la produzione di contenuti che incidono sull’identità e sulla cultura italiana ed è sbagliato pensare di produrre a lungo termine dei film per il solo consumo domestico. Il patto che intercorre tra testo (il film) e lettore (pubblico) in sala è totalmente diverso da quello creato da altri modelli di fruizione. La sala è l’unico luogo sospeso e protetto in grado di dialogare con noi in maniera esclusiva per due ore, condividendo allo stesso tempo dei significati e delle emozioni con altre persone. È una Agorà, in un certo senso, che consente ai contenuti di un film di essere sfidanti per il pubblico, richiedendo una grande rielaborazione personale».
La Mostra
Di tutto questo, e molto altro, si parlerà durante la prossima Mostra di Venezia, luogo deputato per la celebrazione del cinema in sala, ma anche, da sempre, aperto (a differenza del Festival di Cannes) ad accogliere titoli prodotti dai colossi dello streaming: «La Mostra – dichiara l’ad di Rai Cinema – sarà di fondamentale importanza. Non solo perché i festival tradizionalmente contribuiscono alla composizione profonda dell’anima autentica del cinema, ma anche perché un festival, quando è riconosciuto a livello globale, come quello di Venezia, ha delle implicazioni che riguardano certamente l’opera cinematografica, ma anche l’industria del cinema, intesa nelle sue accezioni culturali ed economiche». Un Festival «è la massima espressione delle diverse componenti della cultura cinematografica che convergono in un singolo evento: dallo star system alla stampa, dalla produzione agli esercenti, dai media alle iniziative culturali. In questo senso è importantissimo il segnale che la Biennale ha dato nell’organizzazione di questa edizione. Occorre superare l’emergenza e continuare a lavorare per lo sviluppo della nostra industria cinematografica».
Per tutti il Lido, seppure diverso da sempre, con fotografi e giornalisti distanziati e contingentati, con protocolli di sicurezza e assenze obbligate, sarà il palcoscenico della grande ripartenza: «Ci saranno difficoltà – osserva Maccanico -, sicuramente non potremo avere i momenti glamour legati alla vicinanza sociale, ma la Mostra avrà uno straordinario valore simbolico, sarà il segno della ripartenza. Non possiamo aspettare che tutto torni come prima, nascondendo la testa sotto la sabbia, augurandoci che arrivi il vaccino. Dobbiamo riconquistare la nostra normalità. Nel dopoguerra abbiamo visto il nostro Paese che veniva ricostruito dalle macerie. Bisogna far ripartire la macchina. Ho fatto i miei complimenti a Barbera e a Cicutto per aver deciso di far svolgere la Mostra, in questo momento così particolare». Dopo la Berlinale, che si è chiusa proprio sull’orlo del precipizio, poco prima che scattassero a catena i lockdown in Europa e poi ovunque, la Mostra, aggiunge Occhipinti, è «il primo festival importante che segue la pandemia. Ne abbiamo bisogno, vogliamo incontraci, parlare, scambiare esperienze, sarà un test fondamentale. Per tutti i Paesi del mondo».