La gara tra le 270 app per sorvegliare i contagi (e tornare a farci uscire)
di Riccardo Luna
È partita la corsa alla ricerca della app perduta,quella cheavrebbe potuto frenare la diffusione del coronavirus nel nostro Paese; quella che potrebbe consentirci di recuperare qualche libertà di movimento, perché se sai chi sono i contagiati e puoitracciare i loro spostamenti, anche quelli passati, tutto diventa meno difficile. Nelle prime ore di apertura del bando “Innova per l’Italia” sono arrivate 270 proposte, ha detto su Twitter il ministro dell’Innovazione Paola Pisano. Ci sono ancora un paio di giorni e poi andranno vagliate in fretta, perché si è già perso abbastanza tempo prima di capire che il modello da seguire era quello coreano, cioé di unpaesecheha saputocontenerel’epidemia con una combinazione di tamponi, diffusi ma mirati, e tecnologie digitali.
Non sarà una scelta facile, occorre trovare un nuovo equilibrio, temporaneo si spera, fra privacy (e quindi libertà) e salute. È chiaro a tutti che la salute pubblica in questa fase debba prevalere, ma con delle garanzie: il rischio è di provare ad imitare la Corea del Sud e diventare quella del Nord. A Palazzo Chigi lo sanno e sanno che dovranno muoversi in fretta, ma con cautela. Un riferimento potrebbe essere la app appena rilasciata dal Mit di Boston: si chiama Private Kit: Safe Paths. E si propone di rallentare la diffusione del contagio senza rinunciare alla privacy. Funziona così: un contagiato rilascia solo agli operatori sanitari i dati degli spostamenti registrati dal telefonino negli ultimi 28 giorni, questi ricostruiscono spostamenti e contatti che vengono a loro volta contattati per un test; nel frattempo le informazioni del paziente non lasciano mai lo smartphone.
L’Italia non parte da zero. Senza squilli di tromba qualcosa in Veneto si è fatta. E ha funzionato, pare. Infatti se si guardano i dati, il rapporto fra tamponi effettuati, positivi ospedalizzati, positivi in isolamento volontario, pazienti in terapia intensiva e deceduti, le cose lì stanno andando molto diversamente dalla Lombardia. Molto meglio. Tra le possibili spiegazioni c’è il fatto che il Veneto ha deciso di circoscrivere subito i contagiati, facendo il tampone a tutti coloro con cui erano entrati in contatto, anche senza sintomi.Dietro questa strategia c’è una piattaforma, già in uso e riadattata per il coronavirus, realizzata da Engineering (multinazionale italiana del settore delle tecnologie digitali) che consente una sorta di “biosorveglianza” che incrocia in tempo reale i dati della diffusione del virus con tutti i dati presenti sulle banche dati regionali (anagrafe, sanità, lavoro), per circoscrivere le aree dove maggiore è la possibilità che il contagiato abbia avuto contatti. Questo tra l’altro consente di fare previsioni sull’andamento dell’epidemia e quindi sulle esigenze degli ospedali.
QuellochenelprogettoVenetomanca, per ora, è l’utilizzo dei dati dei telefonini e delle app che abbiamo installato. Secondo uno studio pubblicato da un gruppo di ricercatori di Big Data di Oxford qualche giorno fa, «l’epidemia può essere bloccata» e lo dimostra la matematica. Le condizioni sono un tracciamento dei contatti sufficientemente rapido, efficace, e su grande scala. «Il modo migliore di farlo», conclude lo studio, «è una app».
Di questa cosa sono convinti ormai in tutto il mondo. Ieri ne ha riparlato anche Bill Gates. Intanto nel Regno Unito, che è stato fra gli ultimi paesi a chiudere le porte al coronavirus dopo averlo minimizzato, una app ha appena debuttato anche se sembra avere uno scopo diverso. Si chiama Covid Symptom Tracker e chiede ad ogni utente di inserire tutti i propri dati e di rispondere ad alcune domande sulle condizioni fisiche e l’uso di farmaci e l’obiettivo è di avere un monitoraggio in tempo reale dei possibili sintomi del virus da incrociare con i casi scoperti in tempo reale. Ma il modello coreano è un’altra cosa. Vuol dire usare il segnale satellitare che sta negli smartphone (il Gps) e i dati dei social network. Solo così possiamo farcela.
A questo proposito due ricerche confermano che è questa la strada giusta. Una la firma il settimanale The Economist che dagli status di Instagram di persone che sono partite dopo essere state in paesi con il coronavirus, ne ha ricavato le tappe successive (tramite le foto e i tag). La seconda riguarda una app molto popolare, CityMapper, che aiutaa trovare i percorsi più brevi nelle città di tutto il mondo in base al traffico e al mezzo di trasporto. Insomma, CityMapper ha rilasciato un indice che calcola quanto si sono ridottigli spostamenti solo a marzo. Parliamo di una utenzagiovane edinamica,uncampione ancora più significativo perché con una forte propensione a muoversi. Ne è emerso che in molte città inglesi il traffico si è ridotto del 70 per cento; a Roma del 95 per cento, a Milano del 97.