Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta “Questo passaggio non è previsto in Costituzione”
Francesco Grignetti
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roma
Professor Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, ha visto che Giuseppe Conte, il presidente incaricato, si è rivolto al popolo dei Cinque stelle affinché voti senza paura il “suo” governo?
Non le sembra una sgrammaticatura costituzionale e quantomeno uno strappo al galateo istituzionale da parte di chi siede a palazzo Chigi?
… (ride). «Già, il galateo istituzionale…. Mi pare che fosse proprio una delle espressioni utilizzate contro Salvini dal presidente del Consiglio incaricato, nel discorso al Senato. E poi il presidente Conte ha appena rimarcato di considerarsi super-partes… Ma lasciamo perdere, questo è un altro discorso».
Resta il fatto che abbiamo un governo nascente appeso alla consultazione sulla piattaforma Rousseau e non al voto del Parlamento. Lei che ne pensa?
«E’ evidente che si affaccia un interlocutore nuovo, che in Costituzione non è previsto».
Non vede un pericolo di collisione tra questa consultazione telematica e il ruolo delle assemblee elettive?
«Mi chiedo anche se la criticità non sia nei confronti del Presidente della Repubblica. Se c’è questa adesione suppostamente popolare, il Capo dello Stato potrebbe poi prendere posizioni diverse? Vede, è chiaro che il quesito sulla piattaforma telematica è di assoluta genericità. E ci mancherebbe pure che fosse l’approvazione di ministri e programma di governo, ché questo sarebbe stato davvero grave».
Ma…
«Ma un conto è la consultazione di un partito come consultazione interna, altro è un atto che ha un impatto sul presente».
Che cosa la turba, professore, in questo ricorso alla piattaforma gestita dalla società Casaleggio?
«Sia i tempi, sia i modi della consultazione. E’ un insieme atipico. Avrei capito che il M5S avesse consultato la base dei suoi iscritti prima di avviarsi alle consultazioni del Quirinale. Sarebbe stato un atto di indirizzo politico interno. Ma quando si organizza la consultazione dopo che il Capo dello Stato ha dato l’incarico, questa consultazione è diretta ad avere un immediato effetto esterno. E allora, mi domando: se la consultazione fosse negativa, che cosa accadrà? Il presidente incaricato, sulla base del voto di un numero ristretto di persone, sia pure iscritte al partito M5S, si ritira e restituisce il mandato nelle mani del Presidente della Repubblica? Non è quanto stabilisce la Costituzione, direi. Così come è stata gestita, per tempi e modi, questa consultazione sembra piuttosto un atto di sfiducia o di fiducia preventiva esterna».
I tempi cambiano, però, e le tecnologie sopravanzano. Quand’è, secondo lei, restando nel galateo istituzionale, che questo tipo di consultazioni sarebbero accettabili?
«Penso che non ci sia problema, purché rimangano un atto interno al partito politico. Trovo auspicabile, anzi, che le forze politiche consultino i propri iscritti. Prendiamo ad esempio, le primarie per decidere un candidato. Vanno benissimo. In linea generale, se la consultazione vuole essere un atto di indirizzo politico, deve precedere gli atti istituzionali. Altrimenti, come è questo caso, la consultazione web si intreccia con la procedura costituzionale».
E questo intreccio non è bene, insomma. Vede forse i prodromi di un conflitto tra democrazia diretta e quella rappresentativa?
«Il nodo di fondo è questo. Ora, che un partito senta il polso dei suoi militanti, va benissimo. Direi che è auspicabile. Che i sondaggi influiscano sull’elaborazione di una politica, accade ordinariamente. Che ci possa essere un collegamento continuo tra rappresentanti e rappresentati, va benissimo. Ma tutto questo non può e non deve significare atti. Deve rimanere nella sfera dei processi interni a una forza politica. E’ importante ricordare che la nostra è una democrazia rappresentativa, il che non significa affatto che i rappresentanti sono contro i rappresentati. I rappresentanti, ovvero gli eletti nel Parlamento, a norma di Costituzione, rappresentano la Nazione, l’intero corpo elettorale, curano gli interessi di carattere generale. Attenzione, insomma, a non buttare a mare la democrazia rappresentativa perché di fondo si rischia una maggiore manipolabilità». —