di Massimo Franco
L’impatto con la realtà europea comincia a presentare il conto al governo italiano. Il fatto che ieri il premier Giuseppe Conte sia stato costretto a minacciare un veto sulle conclusioni del vertice è una novità traumatica; e il segno che sull’immigrazione l’Italia fatica a ottenere quello che vuole. È indubbio che le prime mosse della maggioranza M5S-Lega abbiano messo a nudo molte magagne. La linea dura del vicepremier della Lega e ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha prodotto un rimescolamento delle posizioni che sembrava favorire l’Italia.
Ora si riconosce lo status ambiguo di alcune navi delle Ong, come sostiene il nostro governo. E tuttavia è affiorato proprio il compromesso al ribasso temuto da Conte. Non c’è accordo per distribuire i migranti tra i ventisette Paesi europei. E c’è chi vuole rispedire in Italia quelli passati illegalmente. I più oltranzisti sono proprio gli Stati cosiddetti «sovranisti», principali alleati ideologici della maggioranza, Lega in testa, decisi a lasciare alle nazioni mediterranee il peso degli sbarchi. L’appello tentato dalla cancelliera Angela Merkel ai «volenterosi» fotografa l’impossibilità di un accordo.
Merkel ha cercato di andare incontro alle esigenze italiane, senza ufficializzare una rottura che la Germania ha anche in casa con la Csu bavarese. Per questo ieri, a Bruxelles, il vertice vero e proprio è stato preceduto da un colloquio Conte-Merkel. L’accordo, però, non ha preso corpo. Come aveva minacciato, l’Italia ha puntato i piedi, perché ricorrere a Stati «volenterosi» significa trovare soluzioni caso per caso; rinunciare a una strategia europea; e gestire in emergenza un problema che invece è strutturale.
Il tema si sovrappone a obiettivi di politica economica, sulla quale Cinque Stelle e Lega rischiano di entrare in collisione con la Bce di Mario Draghi. I segnali da Francoforte sanno di avvertimenti: soprattutto se si dovesse procedere allo smantellamento della riforma Fornero sulle pensioni. Secondo la Bce, «il rovesciamento delle riforme attuate» configura un rischio concreto di pesare sui conti pubblici. Nel solo 2019 la previdenza costerebbe cinque miliardi di euro in più.
Non basterà l’abolizione dei vitalizi degli ex parlamentari a compensare lo squilibrio. La misura-simbolo sulla quale spinge il M5S sta andando avanti alla Camera, sostenuta dal presidente Roberto Fico, pure lui Cinque Stelle. Ma dubbi di costituzionalità e sospetti che toccando i vitalizi si voglia poi incidere su tutte le pensioni, non sono scomparsi. La presidente del Senato, Elisabetta Casellati, di FI, ha chiesto di esaminare bene la misura, per evitare che sia spazzata via al primo ricorso. È stata criticata ruvidamente dal M5S. Eppure, pone un problema ineludibile.