50 mila bancari in meno.

Il deserto agli sportelli tra 112007 e il 2023

Con i 4 mila tagli previsti nelle Venete il totale negli istituti italiani sale a 67 mila unità, a fronte di appena 17 mila assunzioni

VITTORIA PULEDDA

MILANO. La peggiore crisi finanziaria – e poi economica – dal Dopoguerra ha drasticamente ridotto il numero dei dipendenti allo sportello. Tra piani già realizzati e accordi firmati con i sindacati, tra il 2007 e il 2023 in Italia l’universo dei bancari si appresta a perdere 67 mila addetti; un numero appena mitigato dall’assunzione di 17 mila giovani, grazie all’intervento del Foc (il Fondo per l’occupazione nel credito) e che porterà a fine periodo ad un saldo netto negativo di 50 mila persone su un totale attuale di 300 mila scarse. Un’emorragia di posti di lavoro sintetizzata in una ricerca della Fisac-Cgil e presentata ieri a Milano nell’ambito di un faccia a faccia tra il segretario generale del sindacato, Agostino Megale, ed Eliano Lodesani, capo delle relazioni sindacali dell’Abi e direttore operativo (Chief operating officer) di Intesa Sanpaolo. Cioè della banca che ha appena rilevato le parti buone della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, insieme al dimagrimento dell’organico complessivo del nuovo aggregato creditizio di circa 4 mila dipendenti. Sempre che nel frattempo il decreto sulla liquidazione ordinata venga convertito in legge. «Il Parlamento è sovrano – ha ricordato Lodesani – ma ci aspettiamo l’ok del Senato per mercoledì». Quando, un anno fa, Matteo Renzi aveva parlato dei forti esuberi nel mondo bancario, fino a, 150 mila tagli nell’arco di un decennio, era venuto giù il finimondo e i sindacati di settore avevano minacciato lo sciopero generale. Una levata di scudi che aveva portato lo stesso entourage.

La Fisac-Cgil chiede aumenti ai salari. L’ipotesi di un contratto unico con Bcc e assicurativi dell’allora premier a gettare acqua sul fuoco, spiegando che le parole erano indirizzate soprattutto alla pletora dei consiglieri e alle troppe banche sul territorio. In realtà il peggio doveva ancora venire, dalla nazionalizzazione di Mps alla liquidazione ordinata delle banche venete, pasansando per la vendita delle quattro banche andate in risoluzione a fine 2015. Un conto salato che ha portato, solo con quest’ultima tornata, ad oltre 9000 esuberi.

La profonda trasformazione del lavoro bancario e l’irruzione prepotente (e solo all’inizio) della tecnologia nei processi lavorativi sta erodendo il modello di business della banca tradizionale, facendo implodere le filiali. La montagna dei crediti problematici ha fatto il resto, mettendo alle corde molte banche. Al calo dell’occupazione si è accompagnata la riduzione delle retribuzioni di fatto dei bancari (comprensive dei premi di produttività e degli incentivi individuali) dal 2005 ad oggi. Tuttavia, se si considerano i 100 top manager più pagati delle società italiane, il divario delle retribuzioni con i dipendenti si è molto ampliato: il rapporto era di uno a 30 nel 1970, ora è più che triplicato. E ancora: in generale il salario dei dipendenti italiani al netto dell’inflazione è a crescita zero negli ultimi 24 anni. Per questo Megale affila le armi, in vista del prossimo rinnovo contrattuale (a fine 2018, mai negoziati partiranno sei mesi prima): «È ora di rimettere al centro dei contratti l’incremento dei salari reali: significa aumentare il salario netto e ridurre le tasse sul lavoro». Ma il prossimo contratto potrebbe contenere anche una forte novità: la Fisac lavora per arrivare ad un contratto unico nella finanza, che unisca bancari, assicurativi e mondo delle Bcc. «Noi siamo disponibilissimi», ha aperto Lodesani.

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