di Paolo Ermini
La scenografia era quella degli eventi di rilievo: Salone dei Cinquecento, con tutta la classe dirigente fiorentina disciplinatamente assisa con tanto di mascherine sulle sedie poste a debita distanza; in piedi al leggìo, in cima alla scalinata, il sindaco; su un lato tutta la giunta: le donne davanti e gli uomini in seconda fila, chissà perché (ma quanto a parità in Palazzo Vecchio hanno spesso idee confuse…). C’era attesa. E non poteva che essere così, visto che Dario Nardella aveva convocato l’incontro per presentare la rivisitazione del piano di governo della città dopo lo sconvolgimento dovuto al Covid 19. Un po’ come aveva fatto nei giorni scorsi il sindaco di Milano. Il documento presentato da Giuseppe Sala aveva però come titolo «Milano 2020. Strategia di adattamento», mentre — con ben altra enfasi — il nostro sindaco ha optato per «Rinasce Firenze. Ripensiamo la città». Un obiettivo del tutto condivisibile, vista la profondità di una crisi che il coronavirus ha scatenato ma i cui germi erano già tutti presenti, ma anche molto, molto ambizioso. In linea con l’idea di «rivoluzione» del modello di sviluppo che Nardella aveva lanciato e rilanciato nelle settimane scorse. Solo che più alta è l’asticella e più complicato è superarla di slancio.
La cornice delineata nelle 28 pagine, messe a punto con l’apporto di tutti gli assessori e dei numerosi consulenti del sindaco, è coerente con l’intestazione. Si parla di una Firenze più vivibile, sostenibile, votata all’innovazione e aperta al mondo; vogliosa di riprendersi dalla batosta micidiale inflitta dal Covid, che ha comportato prezzi pesanti in vite umane, drammi personali e familiari, un impegno defatigante di tutti gli operatori della sanità e il collasso di molte attività economiche, prime fra tutte quelle legate al turismo.
Quello che continua a non vedersi, se non a tratti, è l’insieme organico delle misure da prendere per cogliere l’obiettivo. Parecchi sono i rimandi a decisioni che spettano a governo e Regione.
Tra le scelte dell’amministrazione c’è il «Progetto 1.500 metri» per consentire ai fiorentini di tutti i quartieri di raggiungere i servizi pubblici essenziali in 15 minuti; c’è il «Piano del Verde» con l’estensione del parco delle Cascine all’Argingrosso, c’è la cittadella dello sport al Campo di Marte. Ma non si fa parola su come saranno finanziate queste opere, con il rischio — questo sì molto concreto — che possano restare sulla carta. C’è anche l’impegno a tenere fuori dal centro i bus turistici; ma perché si è aspettato la pandemia per deciderlo? Forse la risposta sta sulle cospicue entrate assicurate dai torpedoni delle carovane al bilancio del Comune. A riprova che il turismo mordi e fuggi lo si poteva criticare facilmente, ma era assai più arduo cercare di limitarlo nei fatti. Nel discorso nessun cenno autocritico sulle condizioni del centro storico, ridotto a un guscio vuoto. «Abbiamo sbagliato tutti» ammetterà più tardi nell’intervista che oggi pubblica il Corriere della Sera . Il documento ripropone la lotta contro la rendita e la necessità di riportare un po’ di fiorentini ad abitare nel quadrilatero, ma il centro rivivrà solo se lì ci riporteremo lavoro e funzioni. E se lo ricollegheremo al resto della città con un sistema di trasporti degno di una città viva e non di una città-museo. Nardella ha ammesso senza dirlo che il problema c’è ed è di prima grandezza. E ha dato la notizia più importante: il prolungamento della bretella della tramvia Libertà-San Marco fino a Palazzo Medici Riccardi in via Cavour. Un po’ come dire: vorrei far passare la tramvia da piazza Duomo, ma non posso (per non rompere con Matteo Renzi). Una cautela politicamente, e personalmente, comprensibile. Ma le rivoluzioni si fanno per cambiare radicalmente strada, non per curvare dolcemente.