Vita dei Giuliani Amati/4

il trio

di Marco Travaglio

Dopo aver regalato nel 1987 l’Alfa Romeo alla Fiat a prezzi di saldo, lo Stato nel 1992 prepara un altro gradito dono miliardario al gruppo Agnelli-Romiti, a sua volta molto prodigo di mazzette ai partiti di governo: 3 mila miliardi di fondi pubblici per il nuovo stabilimento di Melfi, in Basilicata.    Fiat, Amato Sicuro. I retroscena li racconterà quattro anni dopo l’ex vicesegretario socialista Giulio Di Donato dinanzi al gup torinese Francesco Saluzzo, nel processo con rito abbreviato a Romiti per falso in bilancio e finanziamento illecito al Psi.    Gup: “Le è mai capitato di parlare con Balzamo (lo scomparso tesoriere del Psi, ndr) dei canali di finanziamento del partito?”.    Di Donato: “Mah, in maniera molto generica: Balzamo non rivelava le fonti del finanziamento, né di quello lecito né di quello non lecito. Credo che lui avesse un rapporto di questa natura con il vicesegretario vicario, Giuliano Amato. Vicario, cioè quello che si occupava di mantenere rapporti più assidui, più in contatto col segretario Craxi”.    G: “Lei cosa sa di contatti con Cesare Romiti?”.    D: “Un mese e mezzo prima delle elezioni (dell’aprile ’92, ndr) ci fu una visita di Romiti al quinto piano di via del Corso, dove c’erano gli uffici di Craxi, Amato, Acquaviva (capo della segreteria Psi, ndr). Un po’ difficile che il dottor Romiti venisse a parlare con Acquaviva: lo escluderei. Penso che abbia parlato con Craxi e con Amato. Balzamo mi disse 48 ore più tardi che dopo quell’incontro i rapporti di sostegno finanziario dalla Fiat erano molto migliorati (infatti, il 12 marzo 1992, arrivò su un conto estero del Psi una mazzetta Fiat di 4 miliardi, ndr).    G: “Romiti con chi aveva rapporti, nel Psi?”.    D:“Più che direttamente col segretario, penso con Amato. Dico questo perché, sulla strategia degl’investimenti della Fiat nel Mezzogiorno, io espressi perplessità ed ho trovato sempre un contraddittorio in Amato e in Acquaviva… L’ultima grande questione che ha impegnato a livello politico è stato l’investimento di Melfi. Una decisione presa due anni prima d’intesa con la Fiat dal governo, che stanziava un incentivo molto cospicuo che se non sbaglio arrivava a circa 3 mila miliardi. Nel ’92 la situazione si era bloccata: la carenza di denari dell’Agenzia per il Mezzogiorno bloccava questa erogazione e i lavori di Melfi. Ci voleva un rifinanziamento con nuova legge di bilancio”.    G: “Ci furono pressioni della Fiat sul governo?”.    D: “Da Fiat presumibilmente ce ne sono state: doveva costruire lo stabilimento e doveva incassare i soldi, senza i quali non avrebbe costruito Melfi. Ricordo che si è discusso di questo problema con Amato: io ero perplesso. Dicevo che gli investimenti nel Mezzogiorno avevano finanziato grandi complessi industriali che non avevano creato indotto, e si erano risolti nelle solite cattedrali nel deserto. Amato invece aveva una considerazione completamente diversa: ‘Sì, vabbè, ma si deve realizzare, si deve fare’…”.    E i soldi, puntualmente, arrivarono. Quelli del contribuente, alla Fiat. Quelli della Fiat al Psi. Un commissario a Tangentopoli. Tanto tuonò che piovve: dopo gli scandali degli anni 80 a Torino, Genova, Milano e Viareggio, che vedono il Psi alla guida del partito trasversale delle mazzette, nel 1992 il pool di Milano scoperchia l’intero sistema. Il primo arrestato è Mario Chiesa, il “mariuolo” del Pio Albergo Trivulzio. Poi è la volta di altri dirigenti locali, su su fino all’ex sindaco Carlo Tognoli e a quello in carica, Paolo Pillitteri, cognato di Craxi. Trovare un socialista intonso da avvisi o manette è un’impresa. Bettino spedisce a Milano un commissario di grande esperienza accumulata con le Tangentopoli di Torino e Viareggio: Giuliano Amato.

Nella capitale di Tangentopoli, il Dottor Sottile si distingue subito per il grande slancio moralizzatore: “Ogni volta che da noi si scopre un mariuolo – proclama – quelli del Pds dicono che è un sistema di potere. Quando il mariuolo è loro, è una pecorella nera” (8.5.92). E ancora, lungimirante: “Se si guarda al tentativo di coinvolgere Craxi nella storia di Mario Chiesa, questo mi sembra il classico scandalo montato sul nulla per impedire che Craxi abbia l’incarico” (7.6.92). Infatti sarà proprio Chiesa a inguaiare Craxi. Il premier di Bettino. Dopo le elezioni-terremoto del 6-7 aprile (quadripartito al minimo storico del 51% e boom della Lega Nord) e la strage di Capaci del 23 maggio, il nuovo presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro deve nominare il nuovo premier al posto di Andreotti. L’accordo Dc-Psi prevede il ritorno di Craxi a Palazzo Chigi, ma dopo le confessioni di decine di politici e imprenditori milanesi al pool di Di Pietro & C. si prevede anche per lui il primo avviso di garanzia. E, con l’aria che tira, Scalfaro non ha alcuna intenzione di battezzare un governo nato morto. Le alternative sono Amato e Claudio Martelli, il delfino, che però sta prendendo le distanze da Bettino. Così tocca ad Amato, ritenuto più fedele al segretario. Il Dottor Sottile mette su un esecutivo che somiglia molto a un lombrosario, l’ultimo grido della Prima Repubblica: infatti nel giro di pochi mesi perderà per strada ben sette ministri, impallinati da altrettanti avvisi di garanzia per tangenti varie. Intanto c’è da tamponare la crisi economico-finanziaria, con lo Stato in bancarotta: i partiti si sono mangiati tutto, gli stipendi dei dipendenti pubblici sono a rischio, il debito è fuori controllo, i parametri di Maastricht sempre più lontani dall’essere rispettati. Amato, con la legge finanziaria di fine 1992, impone una cura da cavallo di tasse e tagli da 92 mila miliardi di lire. E, non bastando quelli, dispone nottetempo il prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti degli italiani. Molti gli rimprovereranno una politica monetaria suicida, con la difesa a spada tratta della lira per tutta l’estate e la successiva svalutazione del 30 per cento, con annessa uscita dallo Sme (il sistema monetario europeo). I suoi futuri amici del Pds lo trattano come un incapace e un affamatore del popolo. Anche Giorgio La Malfa lo attacca a testa bassa: “La decisione di svalutare è tardiva. Il governo Amato porta la responsabilità di aver costretto le autorità monetarie a svenarsi nelle loro riserve valutarie”. Poi, chissà perché, Amato tornerà a essere un genio della finanza.    Poker d’assi alla toilette. Sentendosi braccato dai pm e tradito da Martelli che vuole “restituire l’onore perduto ai socialisti”, Craxi decide di investire Amato della successione in via del Corso. Anche perché il Dottor sempre meno Sottile gli dà una buona mano nell’attacco ai magistrati. Il 27 agosto 1992, con mirabile sensibilità istituzionale, il presidente del Consiglio partecipa alla segreteria del Psi convocata da Bettino per scatenare l’offensiva dei dossier contro Di Pietro e preceduta da alcuni minacciosi corsivi anonimi (cioè suoi) sull’Avanti! Persino il Guardasigilli Martelli capisce che non è il caso di andarci. Amato invece ci va. Dirà poi di non essersi accorto dello scopo della riunione perché, nel momento topico, si era assentato per andare alla toilette. In realtà – secondo diversi testimoni – in quel nobile consesso furono esaminate alcune informative e dossier dei servizi segreti su Di Pietro (la Mercedes usata, il telefonino, qualche prestito, le amicizie con alcuni socialisti milanesi suoi futuri indagati) e i risultati di attività spionistiche illegali sui pm di Milano. Rino Formica, all’uscita, dichiara: “Bettino ha in mano un poker d’assi”. “Amato – racconterà Di Donato – era rimasto a bocca aperta per le rivelazioni e come tutti si era sentito rassicurato per il futuro”. Altro che toilette.    Servizi & dossier. Ecco il racconto di Carlo Ripa di Meana, allora ministro dell’Ambiente e amico di Craxi, interrogato nel 1995 dal pm bresciano Fabio Salamone: “Amato (nell’estate ’92, ndr) mi disse: ‘Io ho i rapporti del capo della Polizia (Vincenzo Parisi, ndr) e di tutti i servizi, che dicono che bisogna fermare questo pool, e in particolare Di Pietro, perché questi stanno mettendo in pericolo le istituzioni’…”. Altri particolari Ripa di Meana li racconta nella sua autobiografia (Cane sciolto, Kaos, 2000): “La stretta arrivò in estate, quando Craxi con una serie di corsivi sull’Avanti! cercò di intimidire i magistrati milanesi di Mani Pulite… Trovavo inaccettabile il silenzio del governo (Amato, ndr) che non aveva aperto bocca per difendere l’indipendenza dei giudici… Pensavo che Craxi dovesse essere fermato prima che completasse la propria rovina personale e quella del Partito socialista… Decisi che avrei scritto una lettera aperta ai magistrati milanesi (‘Fate un lavoro necessario. Chi vi attacca per fermarvi sbaglia’) e che comunque avrei rotto col governo, con il partito e col mio amico Bettino… Giuliano Amato mi rimproverò: disse che l’azione giudiziaria di Mani Pulite – come indicavano i Servizi e il capo della Polizia Parisi – era un pericolo per le istituzioni. Poi il confronto tra noi dinanzi al magistrato di Brescia, con Giuliano che pretendeva di negare tutto…”.    (4 – continua)