I dati di Confcommercio: a picco le botteghe, cresce il mangificio con oltre 2 mila locali in più
Aldo Tani ,Mauro Bonciani
Sempre meno negozi tradizionali e sempre più bar, ristoranti e strutture ricettive. La fotografia che emerge dalla quinta indagine sulla demografia d’impresa in Italia effettuata da Confcommercio non lascia dubbi: il turismo sta modificando in profondità città e paesi. Anche della Toscana, dove le città capoluogo di provincia hanno perso negli ultimi dodici anni 1.272 esercizi commerciali (meno 7,5%), sia nei centri storici che in maniera anche più accentuata (meno 7,9%) nelle altre zone, passando dalle 16.748 unità del 2008 alle 15.476 del 2019.
Meno negozi di vicinato, più attività legate al turismo, così le città toscane hanno visto la nascita di oltre 2.000 attività fra bar, ristoranti e strutture ricettive, 700 nei centri storici (più 21,7%) e 1.341 fuori (più 28,8%). Un boom che certifica l’esperienza quotidiana dei residenti che fanno sempre più fatica a trovare un elettricista, un mesticatore, un fornaio o un alimentari. «Tutte le principali città toscane — spiega il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni — vedono, come in Italia, in calo costante la rete distributiva sia nei centri storici sia nelle periferie». A Firenze a chiudere sono soprattutto botteghe di alimentari e bevande, negozi di abbigliamento, calzature, mobili e articoli per la casa, librerie, ferramenta e negozi di giocattoli: «Senza le sue botteghe Firenze perde la sua storia, la sua anima. Senza contare che la scomparsa dei negozi è legata a doppio filo al degrado sociale», sottolinea Aldo Cursano, presidente della Confcommercio fiorentina. Per la presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini «la desertificazione commerciale priva i cittadini di servizi importanti, genera disagio sociale, insoddisfazione, insicurezza. Serve un’alleanza con tutti i Comuni per la salvaguarda della distribuzione tradizionale, anche fiere e mercati sono vitali per le nostre città». Occorre evitare che gli esercenti restino soli.
La trasformazione di Firenze«Palazzo Vecchio si svegli, faccia qualcosa, impedisca la svendita del nostro patrimonio storico e commerciale. Altrimenti Firenze si trasformerà in una landa desolata disseminata di mangiatoie e di bed and breakfast». Patrizio Catellacci, da dietro al bancone della sua mesticheria di piazza San Felice, ha assistito all’inesorabile cambiamento dell’Oltrarno, al fuggi fuggi delle famiglie fiorentine e alla scomparsa delle botteghe, «soppiantate da bar e ristoranti che aprono e chiudono in un batter d’occhio». La sua attività, inaugurata nel 1938, è riuscita a resistere alla guerra, all’alluvione, alla crisi «solo perché ho saputo reinventarmi più volte». Ma chi sono i clienti della mesticheria Catellacci? «Fino a qualche anno fa erano le famiglie fiorentine; oggi sono i turisti e qualche anziano che ancora resiste». Perché i residenti vanno via? «Quando non hai più servizi, parcheggi e attività di vicinato che ci vivi a fare in un quartiere? Oramai tutto è tarato sulla rendita. E allora meglio spostarsi al di fuori delle mura». «Tra via Romana e piazza San Felice c’erano tanti artigiani, operai e impiegati, era un rione popolare — continua — Poi tutto è finito: molti amici e conoscenti si sono trasferiti e chi ha potuto guadagnare dalle sue proprietà non si è lasciato sfuggire l’occasione. Abbiamo resistito, nonostante gli incassi non siano più quelli di una volta, solo perché non vogliamo darla vinta a chi pensa solo al guadagno e perché il fondo è nostro. Ma ora ci sentiamo confinati in una riserva. E sinceramente siamo stanchi».
E quella di SienaÈ un baluardo di via di Città dal 1982. Anna Rosa Migone porta avanti il suo «Sena Vetus» con orgoglio. Intorno a lei la strada che porta al Duomo di Siena negli anni è profondamente cambiata: era la via degli antiquari, adesso c’è un po’ di tutto. In Banchi di sopra, l’altra direttrice principale del centro, la situazione è più o meno la stessa: pochissimi negozianti storici che resistono all’assedio dei franchising. «Diventeremo come San Marino… — scuote la testa la signora — La qualità e la cura del particolare non vanno più di moda e così si procede verso un’omologazione delle nostre città, anche di Siena. Io resisto, perché ho la mia clientela, alla quale offro pezzi unici e di livello». La spersonalizzazione di Siena, come del resto quella della Toscana, è certificata da Confcommercio ma i numeri non dicono tutto, perché oltre alla saracinesche abbassate, fatto dovuto soprattutto agli affitti ancora troppo alti, rispetto al 2008 la mappa dei negozi è cambiata radicalmente e sono fioriti gli alberghi, i bar e i ristoranti. «Un passo in avanti lo deve fare anche l’amministrazione — continua Migone — Serve più attenzione alle attività artigianali e poi vanno creati eventi per far gravitare su tutta Siena i turisti». Un invito a Palazzo Pubblico lo rivolge anche Daniele Pracchia, direttore generale della Confcommercio senese: «Le soluzioni per uscire da questa situazione vanno trovate insieme. Servirebbe un piano dettagliato per il commercio».
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