di Massimo Sideri
Il risultato ottenuto nel reattore Jet in Gran Bretagna. I ricercatori: «Un grande passo verso il traguardo di un’energia abbondante e sicura»
Campagne dell’Oxfordshire. Nebbia, deuterio-trizio e speranze di una Terra sostenibile. Siamo nel Joint European Torus del Culham Center, in sostanza il maggiore impianto di fusione nucleare per fini sperimentali del mondo. Per capire il sofferto ed entusiasmante record mondiale (anche italiano) sulla via che ci porterà con molta pazienza all’energia pulita del sole ottenuto ieri — 59 megajoule di energia totale prodotta dall’impianto e tenuta per 5 secondi, come una nuova stella, un’eternità (come vedremo) dal punto di vista tecnologico — bisogna fare un veloce salto indietro alla fine della Guerra Fredda e risalire all’accordo stretto nel 1985 tra il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, e l’ultimo leader dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov, che pose uno dei mattoni per sperimentare la fusione nucleare. L’uso pacifico del nucleare, anche se dimenticato, ha difatti avuto un ruolo nel disgelo tra i due blocchi, tanto che fin dagli anni 50 gli scienziati russi e anglosassoni iniziarono a condividere le ricerche con una specie di diplomazia della scienza. Ancora oggi, anche nel centro dell’Oxfordshire, la tecnologia usata è di derivazione russa e dei primi anni Cinquanta (il tokamak).
La fusione nucleare (da non confondere con la fissione, cioè la rottura dell’atomo a cui colleghiamo il premio Nobel per la fisica, Enrico Fermi) non è solo un desiderio degli scienziati ma, a questo punto, è anche una necessità per la sostenibilità ambientale. «Con l’esperimento del Jet abbiamo dimostrato — spiega Paola Batistoni, responsabile della divisione fusione nucleare dell’Enea — che possiamo controllare una produzione di energia sicura, con basso impatto di CO2 e stabile. I 5 secondi sono tantissimi, perché a differenza della fissione nucleare la fusione si spegne, se non alimentata, in pochi attimi di secondo. Ed è proprio questo che la rende sicura. Inoltre anche il tema delle scorie radioattive, anche se non del tutto azzerato, è molto ridotto con questo tipo di tecnologia».
Il risultato è stato comunicato ieri dal consorzio Eurofusion, ma ha visto la partecipazione diretta, oltre che dell’Enea, anche del Cnr, e di molte altre istituzioni. Ed è solo un trampolino di lancio: la roadmap europea prevede già le prossime tappe, anche se, avverte Batistoni, per «pensare a una centrale a fusione nucleare che possa produrre energia elettrica a scopo industriale ci vorrà ancora molto tempo: dopo il 2050». Così è come funziona la scienza. Il Cnr, già negli anni Venti, aveva iniziato a pensare all’energia eolica. Ci vuole visione, pazienza (e finanziamenti).
Il livello di energia ottenuto ha raddoppiato e superato il precedente record di 21,7 megajoule stabilito nel 1997 sempre nello stesso impianto. Il record e i dati scientifici ottenuti durante questa cruciale campagna sperimentale sono una conferma per il successo di Iter, la versione più grande e avanzata di Jet: si tratta di un progetto di ricerca sulla fusione in corso di realizzazione a Cadarache, nel sud della Francia, sostenuto da sette partner (Cina, Unione Europea, India, Giappone, Corea del Sud, Russia e Stati Uniti d’America), che mira a dimostrare la fattibilità tecnica e scientifica dell’energia da fusione.
Il salto sarà quantico perché i 5 secondi sono l’attuale limite ingegneristico dell’impianto attuale che andrà verso la rottamazione una volta partito quello nuovo in Francia. L’Europa ha appena stanziato 550 milioni di euro per procedere sulla ricerca scientifica in questo campo e l’Italia, con 90 milioni, è il secondo Paese per finanziamenti, dopo la Germania.
«Con Iter — conclude Batistoni — puntiamo a produrre 500 megawatt di potenza per decine di minuti, potenzialmente». Un piccolo passo per l’impianto, un grande passo per l’umanità.