Una fusione con Montepaschi? Il primo azionista sarebbe lo Stato

 

di Fabrizio Massaro e Nicola Saldutti

Le stime: il Tesoro potrebbe avere fino all’11%

 

Adelante verso Siena, con juicio. Si potrebbe riassumere così la nuova linea di Unicredit: sì apertura alle fusioni — respinte finora dal ceo uscente Jean Pierre Mustier — ma non ad ogni costo. Così mercato, osservatori, banchieri, politici, guardano ai conti per mettere in piedi un’integrazione tra i due istituti. Unicredit punta a non consumare patrimonio; ma le richieste ufficiose di Mustier, 4 miliardi di dote, sarebbero sembrate troppo elevate a Roma.

Lo Stato potrebbe continuare a mantenere un ruolo da azionista bancario, pur uscendo da Mps, come da accordi con la Ue. Attualmente il Montepaschi è posseduto dal ministero del Tesoro — al 64% da ieri dopo la cessione dei crediti deteriorati ad Amco — e la sua capitalizzazione è 1,37 miliardi. Unicredit, la seconda banca italiana, fino al 1994 appartenuta all’Iri, capitalizza quasi 18 miliardi e vede un azionariato frastagliato, senza soci oltre il 3-4%. Sembrano solo numeri, in realtà tracciano tutta la complessità di un eventuale matrimonio.

Comunque li si girino, alla fine sarebbe lo Stato ad essere il primo azionista singolo della nuova entità. Secondo alcune stime di Equita, il ministero dell’Economia finirebbe col detenere circa l’11%. Tutto dipende dai termini di concambio di un’eventuale Ops (offerta di scambio), dalla valutazione degli assetti industriali, dalle esigenze di ricapitalizzazione di cui lo stesso Mps ha urgente necessità, dalla dote sotto forma di crediti fiscali («dta»). Un aumento di capitale da 2,5 miliardi (è la cifra di cui si parla) potrebbe essere sottoscritto dal Tesoro senza opposizione da Bruxelles solo in una fusione con un altro istituto. Per ridurre i rischi legali si parla di transare con la Fondazione Mps (che chiede oltre 3 miliardi di danni) assegnando all’ente una quota di azioni tale da permetterle di comparire tra i soci di Uci-Mps.

Questione di numeri ma anche di equilibri politici. Secondo la bozza della manovra di Bilancio la fusione avrebbe un beneficio fiscale di 2 miliardi. Alcuni all’interno dei Cinquestelle non sono favorevoli perché vorrebbero piuttosto creare un polo bancario pubblico con Popolare di Bari e Carige; per questo hanno presentato un emendamento che limita a 500 milioni il beneficio. Ma pare una battaglia di bandiera: nessun big M5S l’ha firmata né sostenuta.

Sarebbe il secondo tassello, dopo Intesa Sanpaolo-Ubi, del consolidamento bancario ritenuto necessario dalla Bce per affrontare l’impatto del Covid-19. Ieri il dg del Tesoro, Alessandro Rivera, ha stimato 60-100 miliardi di nuovi npl che rischiano di ingolfare le banche frenando i prestiti alle imprese sane. Da qui la spinta anche al dossier Banco Bpm-Bper, mediato dal socio forte di quest’ultima, Unipol. Un tavolo anch’esso aperto.

 

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