Lo strappo nel cuore dell’Europa.

 

L’ANALISI
Lo strappo nel cuore dell’Europa La partita sul futuro dell’Europa non si gioca nelle liturgie di Bruxelles, nelle acrobazie negoziali su Brexit o nelle sigle sulla difesa europea. Tutte importanti. L’Austria però ci ricorda la sfida populista giocata fra la gente, nelle strade e nei social media, nel voto e nelle forze politiche che lo interpretano. Il nuovo governo di Vienna metterà presto alla prova tenuta e solidarietà comunitaria specie sul tallone d’Achille dell’immigrazione, pomo della discordia al Consiglio europeo appena terminato. Prevista dopo il voto del 15 ottobre, l’alleanza fra Popolari di Sebastian Kurz e Partito della Libertà di Heinz-Christian Strache conduce il populismo dritto al potere. La notizia «In Austria l’unico governo di estrema destra in Europa» è rimbalzata immediatamente sulle testate europee e internazionali. Ma quello che conta è come ci arriva e perché ci è arrivata. Eccezione o nuova regola? Ci arriva alla grande. Il Partito della Libertà entra nel governo da comprimario, non da gregario. Dietro ai tre ministeri chiave che si assicura (Esteri, Difesa, Interno) c’è la gestione dei rapporti internazionali e della sicurezza interna ed esterna. La coalizione austriaca è stata una paziente (due mesi) e metodica opera di mediazione per arrivare a un programma comune, non solo una distribuzione di posti. Il Partito della Libertà ha messo il marchio su tutta un’agenda di politica estera e di ordine pubblico – in quanto condizionata dall’ottica immigrazione. Pur sconfitto di misura alle urne dai socialdemocratici per il secondo posto, Heinz-Christian Strache arriva così trionfalmente al vicecancellierato. Mutuando dal felice slogan di Bill Clinton nel 1992 («it’s the economy, stupid») «è l’immigrazione, stupido» che ha determinato il risultato. Kurz è arrivato primo (31,5%) abbracciando la causa anti-immigratoria di Strache (26%); la differenza era di accento più che di sostanza. La resistenza all’immigrazione, con una netta maggioranza di suffragi (57.5%), è il cemento del governo venuto alla luce ieri a Vienna (e presentato, guarda caso, nel luogo dove fu fermata l’avanzata dell’Impero ottomano). Il quale si sente investito mandato elettorale preciso: applicare restrittivamente il diritto d’asilo, controllare l’immigrazione legale e fermare quella clandestina, se necessario chiudendo i confini. Kurz e Strache non ne hanno fatto mistero. Non hanno detto quali. Salvo un’improbabile riapertura della rotta balcanica, la frontiera in questione è il Brennero. Questo crea un problema potenzialmente enorme per l’Italia. I flussi dall’Africa sono drasticamente diminuiti, è vero, ma il rubinetto libico può riaprirsi; comunque gli arrivi non sono spariti. Se l’Austria chiude, mettendo in discussione Schengen, il cattivo esempio può contagiare Svizzera e Francia. A parte l’immigrazione, Roma non vuole trovarsi con libera circolazione e transito di merci rallentati; si pensi agli effetti sulla ripresa del turismo estivo. Per noi Schengen è una priorità. Per l’Ue si allontana ancora di più lo sfuggente accordo sull’immigrazione e si prospetta un altro bastone fra le ruote al rilancio dell’integrazione. Con dichiarazioni rassicuranti e conservando ai Popolari il ministero per le Politiche europee, Kurz cerca una quadratura fra politica immigratoria restrittiva e continuità europeista. Strache non l’ha smentito. Ciò non toglie che oggi Vienna appare più vicina a Budapest che a Berlino. La bilancia si sposta a Est. Il Partito della Libertà era già stato al governo con Jõrg Haider nel 2000. L’Ue aveva risposto con un modesto ostracismo diplomatico dell’Austria. Ma era un’altra Ue, molto più compatta e non afflitta da crisi irrisolte, con Londra dentro anziché con un piede e mezzo fuori. Ma soprattutto non c’era in Europa, non solo in Austria, la diffusa ondata populista che oggi cavalcano sia Heinz-Christian Strache che Sebastian Kurz. Il più giovane (31 anni) capo di governo europeo ha spostato su quel filone i Popolari austriaci. Guai per l’Europa se diventasse la nuova regola.
La Stampa.
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