Laura Zangarini
Milano Chiudere cinema, teatri, sale da concerti? Una scelta «dolorosa». Difficile. Ma inevitabile? «Chi è al governo deve farsi carico di interessi generali. In questo momento è necessario frenare i contagi, i ricoveri, il numero dei morti. La priorità è salvare vite, evitare che il servizio sanitario nazionale collassi». Lo ha detto ieri il ministro della Cultura, Dario Franceschini intervistato su Corriere Tv dal direttore del Corriere della Ser a Luciano Fontana.
Tante le proteste e gli appelli, in rete e sul sito di Corriere.it, contro le misure che spengono le luci del mondo dello spettacolo e della cultura, contenute nel nuovo Dpcm. Ma, ha sostenuto Franceschini, «bisogna mettere ordine nelle priorità. Il tema non è la sicurezza dei luoghi. È ridurre la mobilità delle persone», ribadendo che «quando si governa bisogna anche avere il coraggio di assumere scelte impopolari». Sulle ipotesi di una riapertura prima di Natale il ministro ha dichiarato che «è difficile fare previsioni. Più le misure sono drastiche, più è possibile rallentare la curva del contagio. Non bastano gli interventi del governo, delle Regioni, dei sindaci. Serve il comportamento delle persone: l’80 per cento dei contagi avviene in casa, in famiglia, nelle relazioni personali. Per salvare le attività produttive e la scuola bisogna limitare i contatti con le persone con cui non conviviamo».
Il ministro ha ricordato che, per sostenere il settore, il governo «ha erogato più di un miliardo in interventi», andando incontro «anche a quei lavoratori che non avevano altri tipi di sostegno». Ora, ha assicurato Franceschini a Fontana, «dobbiamo nuovamente intervenire e lo faremo già dal decreto delle prossime ore. È una “pausa”, poi tutto tornerà a muoversi».
Il sostegno pubblico
Dobbiamo intervenire
di nuovo per sostenere
il settore e lo faremo
già nelle prossime ore
Nonostante le rassicurazioni del ministro Franceschini, operatori e associazioni dello spettacolo e della cultura chiedono al governo di fare un passo indietro per non mettere definitivamente in ginocchio il comparto, già duramente provato. Dal 15 giugno a inizio ottobre, fanno osservare, cinema, teatri e sale da concerto sono stati frequentati, a livello nazionale, da 5 milioni di spettatori. E, grazie al rispetto dei protocolli di sicurezza igienico sanitari — tracciamento dei posti, sanificazione, controllo della temperatura, uso della mascherina obbligatorio anche in sala — non ci sono stati contagi. E anche se Franceschini, nell’intervista a Corriere Tv ha assicurato che «alla fine di questa esperienza terribile ci sarà una domanda molto forte di cultura», l’Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali) chiede «che si giunga al più presto a una riapertura programmata», mentre per Agis (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo) «si tratta di un colpo difficilmente superabile» e di «una scelta devastante per il Paese».
L’appello per un dietrofront arriva anche dagli assessori alla Cultura dei principali comuni italiani, che hanno scritto al governo per chiedere una «revisione della disposizione». Unita (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo) sostiene che «la chiusura di cinema e teatri fa sì che l’Italia diventi il primo Paese Europeo a non garantire ai suoi cittadini che l’industria della cultura e dello spettacolo continui a produrre per loro»; di «colpo che può diventare mortale» parla l’Associazione 100autori. E su change.org in migliaia hanno firmato la petizione «Non chiudiamo cinema e teatri».