UN CICLONE SI ABBATTE SUL GOVERNO.

 

SCONTRO TRA POTERI
Non cercava altro, non sperava di meglio, Matteo Salvini: trovarsi indagato per sequestro di persona, arresti illegali e abuso d’ufficio, come ieri sera ha annunciato il procuratore della Repubblica di Agrigento Patronaggio, era quello che desiderava, «medaglie» ha definito le accuse che piovevano sul suo capo, prima ancora che si materializzassero, soddisfatto di poter dettare le proprie generalità alla magistratura, che adesso dovrebbe processarlo, e intanto di proseguire la sua campagna a un ritmo sempre più incalzante. Il bilancio degli ultimi giorni è spaventoso: a parte questo epilogo – il ministro dell’Interno, cioè l’uomo che dovrebbe garantire l’ordine pubblico e assicurare serenità ai cittadini, sotto inchiesta per aver volontariamente e platealmente violato la legge – tra le macerie di questi giorni restano: i rapporti dell’Italia con l’Europa, ormai al lumicino dopo una valanga di insulti e minacce a cui s’è associato anche l’altro vicepremier Di Maio, e nuovamente calpestati dall’incontro annunciato per martedì tra Salvini e il primo ministro ungherese Orban; il ruolo del presidente del Consiglio Conte, zittito perché voleva prendere le distanze da un evento come questo che allontana il Paese dalla sua tradizionale collocazione internazionale; gli sforzi del ministro degli Esteri Moavero Milanesi, che ha cercato in ogni modo di evitare una rottura definitiva con l’Unione Europea, ma per risolvere il problema della redistribuzione dei migranti ha partorito un accordo con Albania, Serbia, Montenegro e Irlanda del Sud, in una cornice che non fa che sottolineare l’isolamento dell’Italia rispetto ai suoi interlocutori abituali. Inoltre, a completare il quadro, in questi stessi giorni, mentre lo spread continua a salire, il ministro dell’Economia Tria sta tentando di convincere la Cina a sottoscrivere titoli di Stato del Tesoro; quello degli Affari europei Savona ha parlato dell’eventualità di una garanzia russa sul debito pubblico italiano, una novità abbastanza sorprendente, visto che il governo ha confermato le sanzioni nei confronti di Putin, e il premier Conte ha lasciato filtrare che in questo campo anche Trump gli aveva promesso aiuto. C’è molta confusione: troppa, è il caso di dirlo. I ministri vanno in ordine sparso e nell’approssimarsi delle scadenze d’autunno, la legge di stabilità, la manovra economica, il primo appuntamento vero con le promesse elettorali del taglio delle tasse e del reddito di cittadinanza, la sensazione è che anche l’intesa tra i due principali leader della maggioranza gialloverde sia messa a dura prova. Di fronte al dilagare dell’alleato Salvini, il Movimento 5 stelle è sotto pressione, comincia a farsi strada al suo interno l’idea che il leader leghista abbia accettato di imbarcarsi nell’avventura del governo al solo scopo di usarla per fare propaganda, preparandosi a far saltare il tappo al momento più opportuno per lui. Il problema dell’immigrazione, su cui la Lega ha costruito le sue fortune recenti, è da sempre il terreno preferito di Salvini, una sorta di riserva esclusiva su cui Di Maio può cercare di fargli concorrenza solo fino a un certo punto, come dimostrano le esplicite divisioni emerse tra i pentastellati a cavallo della vicenda della «Diciotti». Possibile, quindi, che Salvini si prepari a rompere e ad affrontare il processo che lo attende (e per il quale, c’è da aspettarselo, chiederà al Parlamento di concedere una rapida autorizzazione) da semplice imputato, protagonista e vittima predestinata: dell’Europa non solidale con l’Italia, della burocrazia, del sistema, in nome dei cittadini e con lo slogan «non mi ferma nessuno». Invece occorre che qualcuno lo fermi, prima che diventino irreparabili i danni provocati in questi primi tre mesi di governo – se davvero questo è un modo di governare.
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