Salario minimo e immigrati cubani il Nobel a tre economisti del lavoro

Card, Angrist e Imbens hanno rivoluzionato l’analisi delle politiche pubbliche su paghe e occupazione
di Eugenio Occorsio
L’esodo dei “balseros” cubani in Florida del 1994, l’ultima delle rare finestre di espatrio concesse dal regime castrista e ammesse dall’amministrazione americana. La deindustrializzazione a tratti drammatica di due “smoking states” come il New Jersey e la Pennsylvania alla fine dello stesso decennio. E tante altre vicende successive di vita vissuta. Non sono stati solo degli episodi da prima pagina sui giornali americani: per tre economisti sono stati altrettanti momenti di una sperimentazione unica nel suo genere, destinata a rivelarsi preziosa per le scelte di politica economica, e infine a garantire il premio Nobel assegnato ieri a David Card di Berkeley, Joshua Angrist del Mit e Guido Imbens di Stanford.
Le motivazioni sono state due: per il primo (a cui è andata metà del premio in denaro di un milione di euro complessivi) l’Accademia delle Scienze di Stoccolma ha parlato di “contributo empirico all’economia del lavoro”, per gli altri (che si sono divisi l’altra metà) di “metodologie nell’analisi delle relazioni fra causa ed effetto”. Il senso è lo stesso: i tre economisti del lavoro hanno applicato alla materia lo stesso metodo che si usa per i farmaci, il gruppo di trattamento e il gruppo di controllo. Solo che qui non ci sono risultati di laboratorio da verificare, non c’è il placebo “di controllo”, ma è possibile solo verificare ex post cos’è successo in circostanze comparabili. L’”invasione” dei cubani in Florida non ha portato nessuno sconvolgimento sociale né perdite di occupazione degli americani autoctoni, né tantomeno cali degli stipendi ad opera dei “balseros”: semplicemente questi si sono integrati, anzi hanno permesso all’economia di crescere e ai posti di lavoro di moltiplicarsi grazie al rialzo della domanda. Era successo già nel 1980, per un totale di quasi 150 mila cubani. Quindi è possibile accogliere importanti quantitativi di immigrati senza drammi. Nei due stati del Nord-est il risultato è stato ancora più clamoroso: il New Jersey ha alzato il salario minimo nei nuovi lavori tipo McDonald’s, ma non sono diminuite le assunzioni come avrebbe voluto la scuola prevalente, e così la timorosa Pennsylvania ha potuto farlo senza paura.
Il comitato del Nobel li ha definiti “esperimenti naturali”: verifiche attente e ponderate su cosa è successo in un gruppo sociale in presenza di un avvenimento teoricamente destabilizzante. Il gruppo di accademici era inizialmente di quattro economisti, ma Alan Krueger, che è stato anche capo economista di Obama, è scomparso nel 2019. Era un ospite fisso del Festival dell’Economia di Trento, e in suo nome nelle ultime due edizioni si sono svolte delle “giornate”: a una ha partecipato Dart, all’altra nella scorsa primavera Angrist, confermando la vocazione a “summit dei Nobel”, in questo caso “preventivi”, della kermesse trentina.
Anche sull’istruzione i tre Nobel hanno lasciato il segno: con una serie di studi, sempre con il metodo empirico della verifica sul terreno, hanno dimostrato scientificamente quanto le risorse assegnate all’istruzione e gli anni di frequen za effettivi siano determinanti ai fini dei redditi successivi degli allievi. Il metodo è lo stesso, e il merito di Card (nato in Canada nel 1956, PhD a Princeton), Angrist (nato in Israele nel 1960, PhD anch’egli a Princeton) e Imbens (nato nel 1963 in Olanda, PhD alla Brown), è di aver compreso e illustrato come legare al meglio cause ed effetti di una scelta politica, nonché a interpretarne correttamente i risultati. Con loro, sono 45 i docenti delle università americane premiati con il Nobel. Gli italiani l’hanno vinto solo nel 1985 con Franco Modigliani, “tutor” al Mit di Mario Draghi e tanti altri economisti di prestigio. Solo due volte il premio è stato assegnato a una donna: nel 2009 l’americana Elinor Ostrom e l’anno scorso la francese (ma docente al Mit di Boston) Esther Duflo. Ieri poteva essere la terza volta: proprio la moglie di Imbens, Susan Athey, docente a sua volta a Stanford, faceva parte della “cinquina” finale del premio poi andato al marito.
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