Antonio Paolucci, ex ministro e ex direttore di Uffizi e Musei Vaticani, profondo conoscitore di vizi e virtù di Firenze, dice: ” Il Covid ci ha imposto di fermarci”
di Maria Cristina Carratù
Antonio Paolucci — Rimini, 1939, già sovrintendente per il Polo Museale fiorentino, ministro per i Beni Culturali, direttore dei Musei Vaticani, un protagonista della gestione dei beni culturali a cavallo dei due secoli — ha trascorso il lockdown in segregazione.
« Ma non da Covid » , dice, « da vecchiaia, anche se non so se questa parola mitighi il senso negativo di una segregazione » , chiuso in un ospedale per un femore rotto, « una cosa lunga, un buco nero » , e oggi è ancora a casa, convalescente. Come se non bastasse la sua, di sofferenze, ha percepito, dal suo personale lazzaretto, « la sofferenza del mondo, la sua grande paura», rimandata dai media con ossessiva insistenza — con il sesto senso di chi ha vissuto abbastanza da sapere come vanno le cose anche dal chiuso di una stanza. « Mi sono immedesimato, in fondo non mi è stato difficile, e mi è comparsa l’immagine dei tre Cavalieri dell’Apocalisse, guerra, fame, peste, calati nell’oggi » . Lui, spiega, « era troppo piccolo per sperimentare la Seconda Guerra » , ma è oggi abbastanza adulto « da dover vivere questo tempo di peste, e magari di fame, se in autunno l’economia sarà a pezzi » .
I tre Cavalieri, come li racconta il veggente di Patmos, «irrompono nella storia degli uomini senza preavviso, rovesciando il tavolo, cambiando per sempre le sorti collettive » , anche di chi non è direttamente colpito. Nel bene e nel male, lo si voglia o no — è questo, in fondo il senso globale dell’Apocalisse — , quel che ci attende tutti dopo un cataclisma del genere è un cambiamento obbligato: « Solo gli stolti credono che la gente diventi migliore, se, dopo tutte le tragedie della storia, quelle successive fossero diventate generazioni di arcangeli, vivremmo in paradiso » .
Al contrario, pensa Paolucci: «Anche questa volta ci sarà molta più fame di vita di prima, la gente scatenerà i suoi appetiti repressi, una reazione animale, ma comprensibile, un sintomo di vitalità che appartiene al genere umano » . E dunque, la movida senza freni inibitori, l’affollamento delle spiagge, quella cieca proiezione in avanti di cui, non a caso, sono protagonisti soprattutto i giovani… tutto nella regola? « Dal punto di vista umano sì, dopo le peggiori esperienze la gente ha sempre ripreso a fare figli, innamorarsi, fare affari, anche se la sensazione è di potersi schiantare contro un muro » .
Dal punto di vista politico, però, le cose stanno diversamente. E anche questa volta alla politica toccherà scegliere come governare l’apocalisse virale, cioè l’esperienza globale del limite imposto ( alla propria sopravvivenza, ai propri diritti) dalla paura del contagio e dal lockdown da Covid. Ovvero, «come elaborarne il senso perché diventi anch’essa qualcosa di vitale » , e non soltanto da gettarsi alle spalle, e dimenticare.
L’ex direttore di musei, l’ex ministro, sa bene cosa significhi governare, dover compiere scelte, per forza, qui ed ora. Ma Antonio Paolucci, oggi, ha la posizione privilegiata di chi può delineare orizzonti oltre la tirannia della decisione, e addirittura ( ciò che è impossibile alla politica) fare mea culpa: « Prendiamo il caso di Firenze: ebbene, il turismo come lo abbiamo conosciuto, come abbiamo tentato di governarlo noi, generazione di tecnici e storici dell’arte, anche prestati alla politica, è finito, chiuso per sempre. Avevamo sbagliato, tutti. Quel turismo lì avrebbe finito per distruggere le città d’arte, e lo stava già facendo. Abbiamo puntato sulla crescita incessante del consumo culturale, degli indici di affollamento dei musei, dei loro bilanci, ed ecco cosa ci dice questa esperienza apocalittica: fermiamoci! » . E non solo perché, realisticamente, il turismo non sarà più quello di prima, « ma perché non dovrà più esserlo » . La paura del virus ci ha insegnato «che 12 milioni di visitatori dagli Uffizi fanno semplicemente un orrore, perché un’opera d’arte non si apprezza in quelle condizioni, e perché la città sarebbe esplosa, sebbene avesse fatto prosperare la sua economia su di loro, creato professioni, dato il pane quotidiano a centinaia di migliaia di persone » . Crociere pullman code: « Eravamo sull’orlo di un abisso, ora abbiamo aperto gli occhi » .
Certo: vedere tutto questo « è estremamente doloroso, un intero modello di vita è crollato, la sofferenza non è solo quello di chi si ammala e muore per il virus, ma anche quella di chi è stato scaraventato ai margini della società, e muore per mancanza di futuro » . Un’analisi giusta, per la politica, può rivelarsi una inservibile aporia, ma il privilegio di chi ha molto vissuto a cavallo di due secoli è di indicare, non di fare. E a Paolucci, oggi, è concessa la libertà di ammetterlo: « Sono fortunato, non devo decidere. Io personalmente non saprei cosa fare, ma di sicuro quel modello irragionevole è finito » . Fare bisogna, però: « Avremmo già dovuto fermarci. Ora, per quanto ci sembri teorico, bisogna immaginare altro. È in atto una mutazione antropologica, serve un mondo diverso » , e anche in fretta. E prima ancora, una politica capace di una lungimirante manutenzione dei propri modelli di governo. Prima che diventino obsoleti, e ci esplodano in mano.