TRE APPUNTI SU GIUDA.

1. Wittgenstein, nelle Osservazioni sul “Ramo d’oro” di Frazer, scrive di passaggio che l’idea di tradire tramite un bacio è terribile. Questo è un altro punto interessante. Il bacio di Giuda è uno dei momenti più alti dell’intera storia evangelica. Con il gesto che dovrebbe rappresentare l’amore al suo massimo livello (Cristo), viene compiuto il tradimento più terribile della storia, e allo stesso tempo la Passione vera e propria ha inizio. Le labbra di Giuda sono il motore dell’intera vicenda. (E quanti baci ci sono esattamente nei Vangeli?)

2. La morte di Giuda non è meno terribile di quella di Cristo. È interessante notare che entrambe le figure centrali della Passione, alla fine, muoiano di morte violenta. Anzi: che entrambe, in un certo senso, si tolgano la vita. Giuda si impicca tormentato dal rimorso: Gesù si è incarnato con lo scopo di morire fra atroci sofferenze — “non c’è amore più grande di questo: dare la vita per chi si ama”. (Secondo una teologia kenotica è la croce, e non la resurrezione, il momento più importante: l’accadimento della fine, l’ubbidienza totale alla legge predestinata — un dio che muore).
Qualcosa di inquietante sembra fiorire sotto tutto questo. Gesù ha dato la sua vita per l’umanità, la cosa che amava di più. E Giuda? Anche Giuda ha dato la sua vita per la cosa che amava di più: il suo maestro. Gesù e Giuda sono due facce della stessa medaglia.
Qui cominciano i problemi. Giuda agisce liberamente, ma il suo gesto è indispensabile ai fini della redenzione. Ma Giuda è stato scelto da Cristo, altrettanto liberamente e consapevolmente. Perciò, tutto è determinato. Senza tradimento, Cristo non sarebbe morto in croce. Senza croce, non c’è resurrezione. “Tutto è compiuto”, dice: a sottolineare che il piano è andato in porto, così com’era stabilito.
Questa trappola filosofica permette a Borges – nel celebre Tre versioni di Giuda – di innalzare il discepolo al ruolo di vero Salvatore: l’umiliazione divina, la grande novità del cristianesimo, è molto più profonda di quanto testimoniano i Vangeli: Dio si è fatto uomo per conoscere fino in fondo la miseria, accettando anche il più atroce dei peccati – il tradimento. Dio si è incarnato in Giuda, non in Cristo.

3. Un momento assolutamente cruciale — forse il momento cruciale di tutta la storia — è il brevissimo scambio di battute fra Cristo e Giuda all’ultima cena. Ricostruiamo l’evento, grosso modo: Gesù convoca i suoi, l’atmosfera è rarefatta e ben poco conviviale, e a un certo punto salta fuori con: “In verità vi dico: chi ha attinto questa sera dal mio piatto, mi tradirà.” Giuda replica: “Rabbì, sono forse io?”, e Cristo conclude: “Tu l’hai detto.”
Questo dialogo non sta in piedi.
Primo: perché Cristo ha parlato? Che senso hanno queste parole nell’economia della redenzione? Voleva una speranza di salvarsi (come quando, nell’orto degli ulivi, prega il Padre perché allontani il calice da sé – il momento che Kierkegaard riteneva più umano)? Voleva provare a ribaltare tutto all’ultimo istante? E perché questo modo criptico di indicare il colpevole?
Secondo: perché nessuno ha chiesto chiarimenti? Perché, una volta rivelata — come sembra evidente — l’identità del traditore, nessuno si è precipitato a fermarlo, picchiarlo, farlo confessare?
Terzo, e soprattutto: perché Giuda ha parlato? Sembra che voglia farsi scoprire per forza. Sembra che fra lui e Cristo ci sia un’intesa sottile, che supera tutta quella degli altri apostoli: sembra che nel luogo polveroso dell’ultima cena emergano solo queste due figure gigantesche, sopra la mediocrità degli altri: il traditore e il tradito, stretti in un patto di cui sono vagamente a conoscenza: recitano a soggetto.
Mai come qui sembra che loro due non stiano facendo altro che recitare una parte: marionette dell’immenso teatro che Dio ha allestito per sé stesso.