Era il 1981 quando Topografia venne pubblicato a Praga nell’ambito del samizdat, il sistema clandestino di stampa e diffusione messo a punto per sfuggire alla censura del regime. La storia di quest’opera irrequieta non poteva che iniziare in clandestinità. Fedele alla propria natura, per quarant’anni Topografia si è preoccupato, quasi non potesse farne a meno, di scomparire nel nulla e dal nulla riapparire: a Colonia nel 1983, in Italia nella «Collana praghese» di e/o diretta da Milan Kundera nel 1986, in Francia per Gallimard nel 1995. Una famiglia ceca alle prese con una sgangherata vacanza in Jugoslavia, un bambino nato «nero come un’ombra, immateriale come uno spettro», un uomo che, per salvare il bilancio familiare, da Praga va a Parigi per tentare di vendere un’incisione di Dürer, un esule russo che un sabato arriva a Roma con l’intenzione di raccontare a tutti cosa sta succedendo oltrecortina. E ancora mille individui, città, strade e notti bianche, una festa melancolica, colma di umorismo. Con una lingua che sembra non avere origine che da sé stessa Sylvie Richterová modella la materia della memoria e dell’esilio, e regala al lettore un racconto dalle coordinate evanescenti in cui ogni elemento sfugge a sé stesso e che sembra rispondere al proclama di Lautréamont: «Io, come i cani, provo il bisogno dell’infinito». Corredato da alcuni collage di Jiří Kolář, da un testo critico di Massimo Rizzante, da due note inedite dell’autrice e in traduzione aggiornata, Topografia riappare nell’anniversario della sua prima pubblicazione per ribadire ancora una volta la propria essenza di opera mutevole, impossibile da catalogare, ostinatamente viva.