I cantieri dell’arte

di Stefano Bucci

Lavori in corso. O meglio arte in corso. Il museo che, complice anche l’emergenza Covid-19, si ritrova in qualche modo «penalizzato» dai suoi spazi ridotti (per quanto eccellenti) e che si apre verso l’esterno mettendo in scena i propri cantieri di restauro: la Pietà Bandini di Michelangelo all’Opera del Duomo di Firenze, il Mosaico di Alessandro al Mann di Napoli, gli affreschi del Parmigianino sulla volta della Steccata a Parma. E il cantiere che diventa come una grande tela da riempire, come uno spazio ideale per dipingere senza limiti (o quasi), come un vetrina perfetta per farsi conoscere. In un percorso che idealmente unisce la «pittura di realtà» di Armando Pizzinato (1910-2004) che vedeva nel cantiere uno dei soggetti preferiti (Cantiere marittimo, 1949; Operai in cantiere, 1961) e Fra.Biancoshock, il writer che nel 2015 a Gaeta, nell’ambito della rassegna Memorie Urbane, aveva trasformato un’impalcatura in una sorta di casa-studio.

È un’invasione pacifica, quella dei 106 ranocchi («Avrebbero dovuto essere 101, ma poi mi è sembrato fin troppo banale, così ho messo quelli che ci stavano») creati da Mr. Savethewall (Pierpaolo Perretta, classe 1972) per incorniciare i 140 metri di impalcature che rivestono, nell’ambito del progetto The Medelan, il palazzo del Credito Italiano in piazza Cordusio a Milano. «È un soggetto che ho cominciato a frequentare sin dall’inizio del mio percorso — spiega l’artista— in queste rane c’è anche il racconto di quello che sono stato nella mia vita precedente, un manager in giacca e cravatta che di notte andava in giro a fare i murales». I 106 ranocchi sono raffigurati come comuni passanti, uomini, donne, di diversa età, estrazione sociale, che re-interpretano in chiave contemporanea (e certo molto modaiola in omaggio alla Fashion Milano) un palazzo che, terminato il cantiere («almeno fino alla fine del 2021») è destinato a diventare un luogo di lavoro e di svago aperto 24 ore su 24.

Sono 105 ritratti più un autoritratto, perché la rana in tuta da writer che guarda verso la piazza è Mr. Savethewall («La proprietà non lo sapeva, l’ho fatto a sorpresa»). Kiss Me Cordusio è un’opera monumentale che vuole essere di buon auspicio per la ripartenza di Milano e del mondo intero. E la scelta di raffigurare le rane («I colori? Prima di tutto il turchese e il giallo, perché sono due colori che adoro tantissimo, che mi mettono di buon umore») non è casuale: «La rana è da sempre simbolo di prosperità e ricchezza, protezione e fortuna; le rane hanno la prerogativa di poter andare solo avanti, come chi avanza senza rimpianti guardando al futuro».

Kiss Me Cordusio è come un portafortuna speciale: «Mi ha colpito il rispetto del mondo underground: il murale è rimasto intatto dall’apertura». E l’interesse della gente: «Ognuno sembra cercare la rana in cui riconoscersi e magari fare un selfie». Un’invito alla diversità, alla unicità, «a essere noi stessi, senza lamentarsi, nel segno del rispetto». D’altra parte proprio la «varietà» è, secondo la Treccani, una delle caratteristiche del genere Rana: «Nome comune degli anfibi anuri rappresentanti della famiglia Ranidi, usato anche per indicare l’intero ordine degli Anuri, famiglia cosmopolita che comprende oltre 200 specie».

L’opera in Cordusio per The Medelan si inserisce nella tecnica poetica da sempre perseguita da Mr. Savethewall: l’installazione è commissionata e autorizzata, ogni rana è realizzata su pannelli removibili e non direttamente sul muro, seguendo l’impegno di non operare mai direttamente sui muri pubblici, a meno che non sia stato dato il permesso (è da qui che arriva il nome d’arte). E dopo questo marasma di colori pop, l’artista racconta la svolta verso una pittura «in bianco e nero» e il progetto Wallsaved. In cui i muri sono vere opere d’arte con la loro sovrapposizione di epoche storiche, di artisti di strada, di fatti ed eventi storici che lasciano un segno indelebile, come una guerra e la ricostruzione. Dove l’abbandono e il degrado, l’arredo urbano, i manifesti, gli adesivi, le telecamere, tutto parla, anzi urla, su un muro.

«Io salvo i muri portandoli all’interno delle case, delle collezioni, dei musei esattamente come li vedo — dice —. Faccio ritratti ai muri. I miei wallsaved sono ricchi di dettagli, spesso sono ritratti fatti dal vero. C’è chi fa il ritratto ai girasoli, chi alle dive di Hollywood o alla Coca-Cola, chi a primavere che nascono dalle conchiglie. Io faccio il ritratto ai muri».

In realtà quelli dell’arte sembrano cantieri sempre aperti, in continua evoluzione. Nel 2014 erano state ad esempio più di diecimila le persone che, in tre mesi, avevano partecipato al progetto lanciato dal celebre street artist JR, al secolo François Constant, invitato dalle autorità francesi a intervenire sul cantiere destinato a rimettere a nuovo il Panthéon, memoriale che raccoglie le spoglie di ottanta personalità dell’arte e della cultura, della scienza e della politica — da Émile Zola a Victor Hugo ai coniugi Curie.

Nel 2018 la performer austriaca Katharina Cibulka (1975) aveva trasportato le parole delle sue Solange Series («Finché il mercato dell’arte sarà un club per ragazzi, sarò una femminista») sull’impalcatura dell’Accademia di Belle Arti di Vienna, confermando la sua scelta «di occupare aree di costruzione per istallazioni site-specific che siano veri slogan al femminile».

Nel 2018 New York poteva contare su oltre 300 mila cantieri, vecchi anche di vent’anni. Il Dipartimento degli affari culturali della città, il Dipartimento degli edifici e l’Ufficio del sindaco avevano così varato City Canvas, un progetto pilota di 24 mesi «per migliorare l’esperienza pedonale, aumentando le opportunità per le organizzazioni culturali e gli artisti» di presentare l’arte. Consentendo così a Mauricio Lopez di realizzare il suo Color Mesh che ora adorna la recinzione lungo un lato del Brooklyn Atlantic Yards (quello di Lopez era uno dei quattro vincitori; gli altri erano Breathing Wall di Monika Bravo, My Urban Sky di Jen Magathan e Green Screen di Corinne Ulmann).

Altra città, altra visione, altri ponteggi: L’Aquila del post-terremoto. Con l’arte in costruzione che prova a farsi spazio tra i ponteggi della ricostruzione. A promuovere l’iniziativa è ArtBridge, un’organizzazione di arte pubblica no-profit con sede a New York, che utilizza le impalcature, le recinzioni e i ponteggi presenti nel tessuto urbano come tele bianche su cui esporre gigantografie di opere di artisti emergenti (tra questi Jess X Snow, Tatyana Fazlalizadeh, Natasha Platt, Gera Lozano, Danielle Mastrion). Occupando spazi spesso destinati a cartelloni pubblicitari, gli interventi di ArtBridge «favoriscono il dibattito culturale locale, avvicinando i cittadini all’arte».

Così è nato nel 2014 OffSiteArt. Nella città-cantiere più grande d’Europa ha preso forma un museo a cielo aperto. Così è stata lanciata una call for art per artisti italiani emergenti (pittori, scultori, fotografi) che hanno voluto partecipare, con la propria arte, al processo di ricostruzione. «È la prima volta che ArtBridge lavora su un’area colpita da un disastro naturale — aveva spiegato Veronica Santi, curatrice del progetto —. Se a New York l’intento principale della nostra attività è quello di creare un ponte che unisca la popolazione locale e la scena artistica emergente della città, all’Aquila le tematiche sono quelle legate alla ricostruzione, un progetto non solo culturale ma anche sociale».

Sui suoi Ponteggi d’artista Emilio Farina ha scritto persino un libro (pubblicato nel 2011 da L’Erma di Bretschneider), cronaca-romanzata di quegli stessi ponteggi che Farina aveva realizzato in occasione di importanti restauri di celebri monumenti: per il Duomo di Prato (2000); per il Pantheon a Roma (2002); per la Cappella del Voto nel Duomo di Siena (2010).

E d’artista sono stati anche i ponteggi che hanno accompagnato il lunghissimo cantiere (quasi 16 anni) de La Samaritaine, il grande magazzino parigino di proprietà del gruppo Lvmh di Bernard Arnault, inaugurato pochi giorni fa nella versione progettata dallo studio Sanaa di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa (vincitori del Pritzker nel 2010) visto che sulle impalcature della Samaritaine sono state di volta in volta esposte le opere vincitrici del Prix de la jeune photographie de bande dessinées. Quando nel gennaio 2019 le impalcature dal lato di Rue Rivoli sono state smontate è apparsa una parete bianca di vetri ondulati che riflette le facciate haussmaniane degli edifici che circondano la Samaritaine ma che si può trasformare, di volta in volta, in un nuovo cantiere. Quasi come in una Factory, sullo «spazio dinamico» creato da Lvmh si stendono grandi tele bianche sulle quali gli artisti possono intervenire inventando «liberamente» opere site-specific .

Proprio come su un’impalcatura. Proprio come in un cantiere.

 

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