“Tesori svenduti” La frenata del Mibac sugli Nft dell’arte

IL BUSINESS DEI BENI CULTURALI
I timori del ministero dopo l’accordo siglato dagli Uffizi per 40 capolavori Il caso stasera alle Iene. Una commissione al lavoro: “Ora regole certe”
DI GIULIANO FOSCHINI
Di chi è ilTondo Doni di Michelangelo? E laNascita di Venere di Botticelli? Ancora: ma davvero una società milanese ha messo in vendita i Canaletto, un Tiziano, e persino un Leonardo esposti agli Uffizi? Anni fa queste domande non avrebbero avuto cittadinanza. E invece da qualche mese stanno rimbalzando negli uffici del ministero dei Beni culturali, dove sono preoccupati dalla possibilità di perdere — le parole sono dell’ufficio legislativo — «la gestione, il controllo e lo sfruttamento» delle immagini digitali di alcune delle opere più importanti del nostro Paese. Tanto sono allarmati che il direttore generale dei Musei, il professor Massimo Osanna, ha firmato lo scorso anno una circolare bloccandod’urgenza i contratti con questa società milanese. Ha ordinato oggi di non rinnovare quelli già siglati. E ha insediato una commissione che dovrà cercare di mettere ordine ed evitare che quello che è accaduto si ripeta.
Ma, intanto, cosa è successo? La storia la racconteranno stasera le “Iene” in un servizio firmato da Antonio Monteleone e Marco Occhipinti, che hanno condotto un viaggio nel mondo delle opere d’arte italiane e degli Nft, inot fungible token :opere d’arte digitali che vengono rese uniche grazie alla registrazione in un albo pubblico, lablockchain . Il mercato è enorme: recentemente
Everydays: the first 5000 Days , un’opera di Beeple, è stata venduta per 69.4 milioni. Oltre alle nuove opere, c’è un tema che riguarda anche il patrimonio esistente: ciascuna operad’arte può avere una sua copia digitale che può essere immessa sul mercato. A proporre un’operazione del genere ai musei italiani è stata la società Cinello, che ha un brevetto in materia. L’idea è semplice: si realizza una copia digitale perfetta dell’opera. La si riproduce su un monitor ad altissima definizione, la si incornicia come si fosse al museo e la si vende a ricchi collezionisti. Il ricavato va diviso 50 e 50 tra Cinello e il museo. I primi a credere all’operazione sono gli Uffizi, che firmano uncontratto — come ricostruiranno stasera le Iene — per 40 opere tra le più famose. Nell’accordo vengono stabiliti prezzi e un numero di copie massimo da mettere sul mercato. Alcune potranno essere acquistate, altre anche soltanto noleggiate. Il primo a essere venduto è proprio ilTondo Doni di Michelangelo, come annunciato trionfalmente un anno fa, per 240mila euro. Ma è proprio lì che cominciano i problemi. Qualcuno si chiede: ma ora di chi sono i diritti legati a quell’opera? Se mai il compratore dovesse decidere di esporla, può farlo senza il permesso degli Uffizi? In sostanza: non rischiamo di perdere il controllo del nostro patrimonio in un tempo in cui si va sempre più verso il metaverso?
Gli Uffizi spiegano al Ministero, contratto alla mano, che non è stata data alcuna esclusiva. E quindi, il problema non esiste. Ma a Roma non sono convinti. Le Iene fanno notare due cose: che la Cinello ha ricevuto tutto senza alcuna procedura pubblica. Un regalo. Anche perché Cinello non paga alcun canone, divide gli introiti alla metà (una percentuale molto alta per un’intermediazione). E che, sebbene nel contratto non si parli di esclusiva, nei fatti c’è una clausola che quasi la disegna. Il museo si impegna infatti a non far deprezzare il bene: le copie digitali costano tanto perché sono numerate, ma se ne venissero concesse altre, quelle sul mercato perderebbero di prezzo. Dunque, Cinello potrebbe impedirne la realizzazione.
Ma i problemi sono anche altri.Repubblica ha letto i verbali della commissione di esperti nominata dal ministero «in merito agli Nft e alla Criptoarte ». Osanna parla di«contratti stipulati da alcuni musei» (oltre agli Uffizi, la Pilotta di Parma, la Galleria nazionale delle Marche, Capodimonte e l’Archeologico di Napoli) «immediatamente bloccati ed estremamente svantaggiosi per l’amministrazione, perché prevedevano l’alienazione della riproduzione del bene. La necessità imprescindibile è quella di far mantenere allo Stato la proprietà della riproduzione». La questione infatti non è avere paura degli Nft, che possono essere una risorsa. Ma non trasformarli in una giungla senza regole. E con pochi preferiti. Perché quella sì, fa paura.