Lo stop all’austerità – che tanto sarebbe piaciuto a Federico Caffè – sarà duraturo o temporaneo? È il dilemma principale trattato alla presentazione del 14esimo Rapporto sullo stato sociale presentato ieri mattina alla Sapienza di Roma. La cadenza biennale quest’anno coincide con il 35ennale dalla scomparsa di Federico Caffè, maestro del Dipartimento Economia che è ormai arrivato alla sua seconda generazione di allievi: alla prima di Roberto Pizzuti (ideatore del rapporto) si aggiungono Michele Raitano e Massimiliano Tancioni, formando la triade che cura l’edizione di quest’anno.

L’anniversario della scomparsa di Caffè è stato ricordato con un toccante documentario proiettato a inizio presentazione che ha fuso interviste e audio del grande economista intervallati da spezzoni del film tratto dal libro di Ermanno Rea “L’ultima lezione” con la sublime interpretazione di Roberto Herlitzka. L’introduzione di Maurizio Franzini non è stata da meno con l’elencazione delle dieci parole chiave del pensiero di Caffè a partire dall’«ideale irrinunciabile dell’egualitarismo», per passare al «riformismo contro ogni revisione» fino «all’ecclettismo che lo contraddistingueva, elemento come nelle sonate di Mahler che Caffè tanto amava». «L’arte di sparire» è poi «l’ultimo lascito che ne ha aumentato l’influenza e l’importanza», ha chiuso Franzini.

Venendo al contenuto del Rapporto 2022 – dal titolo «La crisi da Covid-19 e il welfare» – il cuore centrale è «in grande continuità con il pensiero di Caffè», ha sottolineato Pizzuti. Il confronto tra come è stata affrontata la «coronacrisi» rispetto alla crisi finanziaria del 2008 porta a un certo ottimismo che solo le recenti sirene del ritorno all’austerità e «le nuovi divisioni in Europa sulla guerra in Ucraina» rendono precario. «Il recupero delle idee keynesiane, gli Eurobond introdotti con Next generation Eu» dovrebbero chiudere per sempre il buco nero del neoliberismo. E invece, nonostante l’aumento del welfare dopo 30 anni di tagli, paghiamo però la «disomogeneità dei vaccini e degli indebitamenti pubblici» che a causa dell’impennata dell’inflazione da gas (russo e non) porta – tramite politiche monetarie restrittive già in atto – al rischio di «stagflazione e recesflazione».

In questo quadro globale l’Italia paga poi più di altri gli effetti dell’austerità decennale: con una «spesa pro capite di 8.000 euro molto al di sotto di Francia e Germania» e una evoluzione della composizione della spesa pubblica che dal 1995 al 2020 ha visto una riduzione della previdenza (dal 72% al 66,6%), un aumento dell’assistenza (dal 7,1% al 12,4%) e una sanità stabile solo «grazie alla pandemia» (dal 20,9% al 21%). Il Pil pro capite rispetto alla media Ue è sceso dal 122% del 2000 al 96% del 2020 sintomo che «il declino italiano è dovuto alla questione salariale», sottolinea Pizzuti. Una simulazione degli effetti del Covid sui salari porta a una riduzione media del 12,2% ma questa è del 6,4% per i lavoratori dipendenti e di ben il 29,2% per gli autonomi, in gran parte scoperti da aiuti e ammortizzatori.

Lo scenario futuro per l’Italia è dunque gramo. Il calo dell’immigrazione e la denatalità sono fattori molto negativo (-342mila italiani in meno nel 2020) mentre il futuro previdenziale del 51,7% dei lavoratori attuali (con 20 anni di carriera) è da pensionati poveri a causa di una retribuzione annuale di 11.500 euro pari alla soglia di povertà, il 60% della retribuzione mediana. Pizzuti chiude citando un libro di Caffè: nel 1982 scrisse «La fine del welfare state come riedizione del crollismo»: «È la sua mancata realizzazione ad aumentare le disuguaglianze, non il suo declino o il suo superamento».

Il raffronto fra le curve del 2008 e del 2021 mostrato da Tancioni spiega come la reazione veloce al Covid avesse potuto calmierare gli effetti della crisi finanziaria, facilitata anche dal fatto che i tassi di interessi zero non permettevano interventi monetari questa volta. La lunga mattinata si è conclusa con un dibattito sulla previdenza. L’idea di Michele Raitano di una «pensione contributiva di garanzia» per tutelare precari e lavoratori poveri mette tutti d’accordo ma «il cantiere previdenza» anche secondo il presidente dell’Inps Paquale Tridico non sarà chiuso neanche in questa legislatura».