Strage dei Georgofili, Firenze cerca 29 anni dopo l’ultimo pezzo di verità

Walter Fortini

Il ricordo dell’attentato a Palazzo Strozzi Sacrati, con familiari delle vittime, istituzioni e magistrati

Verità, verità ed ancora verità.  La invocano tutti. E tutti giurano impegno a cercarla.

Ancora oggi, ventinove o trenta anni dopo, fino a quando rimarranno interrogativi senza risposta e spunti investigativi: la  verità,  completa e senza ombre, sulla strage dei Georgofili a Firenze, su quei trecento chili di esplosivo piazzati sotto la Torre del Pulci e sugli altri attentati che sconvolsero l’Italia tra il 1992 e il 1994, la verità sulla guerra ingaggiata da Cosa Nostra per costringere lo Stato a patti e la verità sui concorrenti esterni e  sulle pericolose metastasi all’interno dello Stato e dei suoi apparati che suggerirono ed aiutarono quella strategia stragista, condotta contro gli uomini e contro il patrimonio di bellezze artistiche comune, per mettere in ginocchio la democrazia.

A Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, sede della presidenza della Regione, anche quest’anno istituzioni, familiari delle vittime della strage dei Georgofili e magistrati si sono fermati a ricordare e soprattutto a riflettere.

“Dobbiamo coltivare il senso della memoria per non abbassare la guardia. Dobbiamo parlare ai cittadini e fare dei beni confiscati alle mafie presidi vivi: di memoria e di impegno” avverte il presidente della Toscana Eugenio Giani, che ha ripercorso in apertura di convegno quella notte di ventinove anni fa vissuta da neo assessore a Palazzo Vecchio, condividendone i ricordi vivi e personali: il boato che risuonò alle una e quattro minuti in una notte calma e sonnacchiosa, il fumo che si alzò di fianco agli Uffizi, l’apprensione per le sorti della famiglia dell’ispettore dei vigili urbani Nencioni, i tanti feriti  e la quasi certezza, appena due ore dopo, che non era stata una fuga di gas a provocare l’esplosione ma un’auto carica di tritolo. Trecento chili di tritolo. “Quella bomba esplosa sotto la Torre del Pulci –  si sofferma Giani – suonò allora come un campanello d’allarme”. Su una mafia più vicina di quanto si pensasse.

Ricordare e fermarsi a riflettere, ventinove anni dopo, non è  un gesto non scontato: altrove con il tempo ci si è dimenticati delle stragi del 1993 e del 1994. Sopratutto non vuole essere un gesto  solo commemorativo. Si tratta di un’iniziativa invece, come tante altre azioni messe in campo per la legalità dalla Regione, “ispirate ad una visione – riassume in chiusura l’assessore Stefano Ciuoffo -: la visione di un’attività di formazione ed educazione rivolta alle generazioni più giovani, che crescono oggi sapendo che le istituzioni sono dalla loro parte e questa è già una vittoria, e il contributo ancora alla costruzione di una cultura della legalità e al contrasto dell’illegalità che vede molti ed ancor più di noi, istituzioni e mondo del volontariato, impegnati contro mafie che oggi sono più silenti, non mettono bombe ma non per questo sono meno pericolose. Anzi, forse lo sono ancora di più”.

“Dobbiamo consegnare certezze – incalza determinato l’assessore – Dobbiamo consegnare verità ai nostri giovani e non possono esserci momenti di ombra”. “Dobbiamo lavorare per creare antidoti alle sirene dell’illegalità e costruire una diffusa responsabilità civica – gli fa eco il collega del Comune di Firenze, Alessandro Martini – Una battaglia che possiamo vincere se saremo uniti e consapevoli”.

Morirono in cinque quella notte a Firenze: Angela Fiume e Fabrizio Nencioni, lei custode dell’Accademia dei Georgofili e lui ispettore dei vigili urbani, le loro figlie Nadia e Caterina di appena nove anni e soli due mesi e lo studente universitario di Sarzana Dario Capolicchio. Altre quarantotto persone rimasero ferite.

“Cosa Nostra non ha mandanti, ma aha concorrenti esterni che la orientano e le suggericono. Lo pensava anche il giudice Falcone ed è quello che è successo nel 1993” spiega Danilo Ammannato, l’avvocato di parte civile e portavoce dell’associazione “Tra i familiari delle vittime della strage dei Georgofili”.

“Le istituzioni devono farsi carico del debito di verità che ancora pesa su quelle tragiche vicende, così come su tante altre pagine del nostro passato intrise di oscurità” ricorda, in un passaggio, la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati in un messaggio inviato, per l’anniversario della strage, all’associazione. Sottolinea, al riguardo, la desecretezione degli atti delle Comissioni parlamentari che hanno indagato gli anni delle stragi e del terrorismo.

“Non vi possono essere verità indicibili – scrive, ad un certo punto, il presidente della Camera Roberto Fico, nella lettera che anche lui ha voluto inviare ai familiari -: soprattutto non si possono evocare ragioni di Stato che, dopo tanti anni, hanno per lo più perduto la loro ragione di essere”. “La lunga storia dello stragismo ha evidenziato – aggiunge – connivenze tra criminalità organizzata, gruppi terroristici e pericolose metastasi all’interno degli apparati dello Stato: devianze finalizzate a provocare un corto circuito della democrazia”.

E cosa rimane dunque da chiarire, ventinove anni dopo, della strage dei Georgofili? Quali sono gli interrogativi che impongono di continuare il lavoro? “Il perché ad esempio – spiega il procuratore della Repubblica aggiunto di Firenze,Luca Tescaroli – un personaggio come Paolo Bellini, legato ad ambienti di estrema destra, si sia incontrato con il mafioso Antonino Gioè, uno degli esecutori della strage di Capaci, e perché abbia istillato l’idea di colpire il patrimonio culturale”. “Dobbiamo capire le ragioni della morte in carcere dello stesso Gioè, in circostanze non del tutto chiarite, e quello che scrive nella sua lettera testamento. Dobbiamo capire cosa è successo in via Palestro a Milano e perché tutti gli attentati, a parte quello di via Palestro, siano stati rivendicati dalla Falange Armata”.

“Dobbiamo capire – prosegue – perché nel 1994 la stagione delle stragi improvvisamente si interrompe, quando Denaro e Bagarella erano ancora liberi e nelle condizioni di proseguirla. Dobbiamo capire l’avvio delle trattative dello Stato con la mafia e come sia possibile che Messina Denaro, a distanza di tanti anni, sia ancora latitante”.

“Nel rigido rispetto del segreto istruttorio – conclude Tescaroli – dobbiamo continuare a ricercare la verità”. “Ma dobbiamo evitare – avverte – che i mafiosi appartenenti a Cosa Nostra possano pensare che la spinta investigativa si sia assopita. Dobbiamo potenziare gli strumenti che in questi anni hanno consentito di ottenere ottimi risultati”. La sottosegretaria ai rapporti con il Parlamento, la pistoiese Caterina Bini, presente al convegno, stringe un nodo al fazzoletto: “Non deve cessare l’impegno nel fare leggi e lavorare a riforme che servano a migliore il contrasto all’illegalità e far emergere quella mafia che sta nascosta ed oggi ramificata in modo importante in tutta Italia”.

Ne è convinto anche il procuratore della Repubblica di Firenze Giuseppe Creazzo, che dopo anni in città il prossimo mese la lascerà per assumere un nuovo incarico. “La ricerca della verità non deve cessare quando ancora ci sono cose da chiarire e fatti da accertare. E tuttora sono in corso indagini da parte della Procura”. Poi annota: “Quelli anni di grandi impegno contro Cosa Nostra hanno permesso ad altre organizzazioni criminali di crescere: a partire dall’’ndrangheta, oggi l’organizzazione mafiosa di gran lunga più pericolosa: anche in Toscana”.

Toscana Notizie, Agenzia di Informazione – Giunta Regionale Toscana

 

 

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