Stevenson la vittima

Roma Il 12 agosto del 1892 era un giovedì. Quel giorno attraccò ad Apia, porto dell’ isola di Upolu nell’ arcipelago delle Samoa, la nave a vapore Lubecca. Tra i passeggeri c’ era un pittore italiano, Girolamo Pieri- Nerli (Siena 12 febbraio 1860, Nervi 24 giugno 1926), un gentiluomo, annotò The Samoa Times, “intenzionato a riprodurre i nostri magnifici paesaggi e a ritrarre gli indigeni. I dipinti saranno esposti a Sydney”. Il viaggio ebbe esiti forse superiori alle speranze dell’ artista. Non solo eseguì delle vedute. Incontrò Robert Louis Stevenson, realizzò una serie di ritratti dello scrittore ora conservati a New Haven, presso la Yale University, in Scozia, presso la Edinburgh Academy e la Scottish National Portrait Gallery, e, soprattutto, in Australia. Già, l’ Australia. Dopo un secolo Girolamo Pieri Nerli è indicato come uno dei maestri dell’ arte di questo continente dove, come ha scritto Peter Entwisle, è considerato “uno dei pittori più importanti del XIX secolo”, consacrato da una grande mostra che si è tenuta a Dunedin, in Nuova Zelanda, nove anni fa, e in questi giorni esaltato da un saggio di Roger Neill che ricostruisce la storia del ritratto a Stevenson (Robert Louis Stevenson and Count Nerli in Samoa, pagg. 75, Red Lion Press Oxfordshire). Strano destino quello di Girolamo Pieri-Nerli. Le sue opere sono esposte nei musei di Sydney, Perth, Adelaide, Melbourne, Dunedin. Hanno quotazioni milionarie. Ma in Italia se ne è quasi persa la memoria. Soltanto il pronipote Giuliano cerca di tenere accesa una fiammella. Ma di Girolamo nelle raccolte pubbliche del nostro paese non ci sono dipinti. Non c’ è neppure la tomba anche se morì in patria, a Nervi, nel 1926. Eppure non si può non restare affascinati dai suoi acquerelli, dai suoi dipinti a olio, dai paesaggi esotici tracciati con gesto veloce, dai ritratti che per la colonia inglese furono straordinariamente informali: rompevano il convenzionale stile vittoriano e si attestavano verso quei pittori della “macchia” che Girolamo Pieri-Nerli aveva incontrato, studiato in gioventù. Era d’ origini toscane, era nato il 21 febbraio del 1860 a Siena e la sua biografia storico-artistica è intrisa di romanticismo come poche, tanto che un regista australiano sta preparando un film. La famiglia era di nobili origini. Girolamo era figlio del marchese Ferdinando Pieri Pecci e di Enrichetta Medwin, figlia di sir Thomas Medwin, biografo e cugino del poeta Shelley, autore delle Conversazioni con Byron. La donna era stata adottata dai baroni Ballati Nerli. Il cognome per intero dunque era Pieri Pecci Ballati Nerli. L’ artista, che ereditò il titolo di conte, lo ridusse a Pieri-Nerli. Le opere le firmò sempre “G.P. Nerli”. Non usò mai il titolo e per gli amici australiani fu soltanto “Jack”. Era amante delle belle donne e delle “zingarate” con gli amici, buffo, scherzoso, indolente, poco attaccato al denaro. Il suo accento inglese fu sempre pessimo. Quando aveva sette anni si trasferì a Firenze con i genitori, a quanto sembra inseguiti da numerosi creditori. Poco sappiamo dei suoi studi. Quasi sicuramente intorno al 1880 frequentò l’ Accademia di belle arti del capoluogo, quasi certamente fu allievo di Antonio Ciseri, tardo purista toscano e non v’ è dubbio che fu influenzato da Boldini, De Nittis e soprattutto da Giovanni Fattori e Cristiano Banti, dai “macchiaioli” come dimostra il suo interesse per la pittura en plein air. Ma aveva anche una buona conoscenza della pittura inglese, ammirava il preraffaellita John Millais. Curioso e irrequieto, nel 1885 con l’ amico Ugo Catani raggiunse Marsiglia e si imbarcò a bordo della nave SS Caledonien. Viaggiava in terza classe. E continuò a dipingere come racconta The voyagers, un olio carico delle cupe atmosfere dell’ oceano ora esposto in Australia, presso la Art Gallery of New South Wales. Una volta a Melbourne, dove sposò una gentildonna inglese, lady Cecilia, aprì uno studio in Collins Street. Le sue opere però non ebbero immediato successo. Nel 1888 il critico di Australian art scrisse che nei suoi dipinti c’ era “un tantino troppo di bravura”. Ma fu il primo a osare, a cercare l’ indipendenza da un’ arte che fondamentalmente era neo-continentalista. Non a caso entrò nella cerchia di pittori che ebbero grande importanza per l’ Australia come Tom Roberts, o Charles Conder e Arthur Streeton, componenti di quel movimento noto come “Heidelberg”. Ed ebbe tra gli allievi della scuola di pittura che aprì a Dunedin, in Nuova Zelanda, Frances Hodgkins, l’ artista più importante di quella lontana isola. In Nuova Zelanda Girolamo Pieri-Nerli si fermò nel 1894 dopo aver girovagato a lungo per l’ Australia e dopo aver visitato, dal 12 agosto al 9 novembre del 1892, l’ arcipelago della Samoa. L’ incontro con Robert Louis Stevenson, nonostante la buona presentazione del Samoa Times, in realtà non fu dei più semplici: la moglie di un governatore australiano l’ aveva descritto come un ubriacone. In più Stevenson era abbastanza riottoso a posare forse perché non del tutto soddisfatto dai ritratti (in realtà splendidi) eseguiti da John Singer Sargent tra il 1884 e il 1885, durante il soggiorno a Bournemouth, nel periodo in cui stava scrivendo del dr Jekyll e mr Hyde. “Sono un soggetto difficile”, disse Stevenson a Nerli che l’ aveva raggiunto a Vailima. Ma alla fine si convinse. “Well, Nerli, your victim is ready”, esclamò il 15 settembre aprendo una lunga serie di sedute, ventisette secondo alcuni, destinate a concludersi il 4 ottobre. I familiari dello scrittore però restarono insoddisfatti dal risultato: alla moglie non piacque la decisione di Nerli di lavorare con le porte e le finestre chiuse e nel dipinto non riconobbe il marito ma “l’ autore di Jekyll e Hyde”. Probabilmente Nerli fu troppo anticonformista per la signora Fanny. Lo ritrasse come un collega artista, senza ornamenti, senza i simboli dello scrittore, in camicia, con i segni del sudore sulle guance e sui capelli. E’ un ritratto intimo che Stevenson apprezzò tanto da dedicare a Nerli una poesia. Il ritratto di Stevenson, che poi fu più volte replicato dall’ artista, fu venduto per 40 sterline e nel 1915 fu lasciato in eredità alla Scottish National Portrait Gallery. In quegli anni Girolamo Pieri-Nerli abitava a Londra. Era scoppiata la prima guerra mondiale e collaborava come interprete con l’ addetto militare dell’ ambasciata italiana. Aveva abbandonato il continente australe nel 1904, lasciando decine di ritratti, di paesaggi, di vedute di città piccole e grandi, di studi di aborigeni, ora malinconici, ora sorridenti. Era tornato in Italia, dalla madre, rifugiata nell’ isola di Palmaria. Continuò a lavorare eseguendo piccole vedute, come certi angoli del quartiere Venezia di Livorno, che spediva in Australia, l’ unico luogo dove aveva un mercato. Nel 1909 da Palmaria si trasferì in Inghilterra. Nel 1920 rientrò in Italia, a Nervi, dove morì nel 1926, senza aver rivisto l’ amata Australia. L’ opera di Nerli, come ammette la critica australiana, è marcata dalla diversità di stile e di soggetti. Si avvicinò a molte correnti artistiche senza mai lasciarsi coinvolgere interamente. Ma la freschezza e la libertà che si coglie nelle folle frettolose delle vedute di città, o nelle spiagge, o nei ritratti maschili e femminili, il sapiente uso della luce, che risente sempre delle origini mediterranee dell’ artista, e di una tavolozza a volte accesa, a volte tenue, affascinarono la borghesia australiana che continuò a seguirne l’ opera anche dopo la partenza. E così i dipinti realizzati in Italia negli ultimi vent’ anni di vita sono conservati dai collezionisti e dai musei australiani e neozelandesi. Non da quelli italiani. Per Nerli è proprio vero che nemo propheta in patria, che nessuno è profeta nella sua patria.

di PAOLO VAGHEGGI