Stato- mafia, la trattativa ci fu 12 anni a Mori e Dell’Utri Di Matteo attacca Berlusconi.

salvo palazzolo,
Assolto Mancino Condanne anche per Subranni e De Donno Il pm: sanciti i rapporti con l’ex premier. Che annuncia querela: assurdo tirarmi in ballo
palermo
« In nome del popolo italiano » . Il giudice Alfredo Montalto scandisce i nomi dei capimafia: «Bagarella Leoluca Biagio, Cinà Antonino. Colpevoli » . Poi, i nomi degli uomini dello Stato: « De Donno Giuseppe, Mori Mario, Subranni Antonio. Colpevoli, per le condotte commesse fino al 1993 » . Nell’aula bunker del carcere di Pagliarelli, il silenzio è rotto da un urlo spezzato, che viene dalle fila del pubblico. Il presidente della seconda corte d’assise di Palermo continua a scandire un altro nome: « Dell’Utri Marcello. Colpevole, per le condotte commesse nei confronti del governo presieduto da Silvio Berlusconi». E un altro nome ancora: « Ciancimino Massimo. Colpevole».
Alle 16,05 di un giorno che arriva dopo cinque anni di processo, la trattativa fra lo Stato e la mafia non è più solo l’ipotesi di quei quattro pubblici ministeri che adesso se ne stanno immobili davanti alla corte: Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi. La trattativa fra alcuni uomini dello Stato e i vertici della mafia ci fu. Fra il 1992 e il 1994, mentre l’Italia era insanguinata dalle bombe che uccisero i giudici Falcone, Borsellino, gli agenti delle scorte e poi fecero ancora altre vittime fra Roma, Milano e Firenze. Ora, il giudice Montalto legge un elenco di colpevoli. Non c’è più distinzione fra i mafiosi, il politico, i carabinieri. Sono solo imputati, colpevoli.
Spicca, nella lista, l’assenza del nome dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. L’attesa cresce, il colpo a sorpresa può essere dietro l’angolo. Accanto al presidente, c’è la giudice Stefania Brambille. Da una parte e dall’altra, la giuria popolare. Prosegue la sentenza, inesorabile: « Bagarella Leoluca Biagio, condannato alla pena di anni 28 di reclusione. Cinà Antonino, Dell’Utri Marcello, Mori Mario e Subranni Antonio, condannati alla pena di anni 12. De Donno Giuseppe, Ciancimino Massimo, alla pena di anni 8». E tutti, «interdetti in perpetuo dai pubblici uffici». Insieme, i mafiosi al 41 bis, l’ex senatore di Forza Italia in carcere per mafia e gli ex carabinieri del Ros che fino a un momento fa erano ufficialmente soldati dell’antimafia. Tutti accusati di «attentato a un corpo politico dello Stato». Sarebbe stato condannato anche Riina, ma la corte dichiara «l’estinzione del reato per morte del reo » . Solo l’ex ministro Mancino viene assolto. Era accusa to di falsa testimonianza. « Il fatto non sussiste » . Dicono i suoi legali, Nicolletta Piergentili e Massimo Krogh: « Siamo stati sempre fiduciosi nella giustizia » . E l’ex presidente Napolitano: « Contro di lui c’erano accuse grossolane».
« Una sentenza storica — commenta invece Nino Di Matteo, non appena la corte esce dall’aula — Viene sancito che mentre saltavano in aria i giudici, qualcuno nello Stato aiutava Cosa nostra a cercare di ottenere i risultati che Riina chiedeva ». Di Matteo sottolinea soprattutto un passaggio della sentenza: « I giudici hanno detto chiaramente che Dell’Utri fece da cinghia di trasmissione tra le richieste di Cosa nostra e l’allora governo Berlusconi, da poco insediato, nel 1994». Fa una pausa e riprende: « Finora si era messa in correlazione Cosa nostra con Berlusconi imprenditore. Adesso, per la prima volta, questa sentenza mette in correlazione l’organizzazione criminale col Berlusconi politico. E non mi risulta che lui abbia mai denunciato quelle minacce di mafia che gli furono recapitate da Dell’Utri » . Sono parole che rimbalzano presto nel mondo politico. Dal Molise Berlusconi reagisce indignato e annuncia una querela: « Le parole di Di Matteo sono di una gravità senza precedenti. È assurdo e ridicolo il tentativo di accostare il mio nome alla trattativa Stato-mafia».
È il giorno della sentenza, che non si aspettavano neanche i cinquanta attivisti di Libera, di Scorta Civica e delle Agende rosse, il movimento fondato dal fratello del giudice Borsellino. Anche loro immobili ad ascoltare il verdetto. Perché, in fondo, gli ufficiali del Ros erano già stati assolti altre volte dalle accuse dei pm: per la mancata perquisizione nel covo di Riina, per la mancata cattura di Provenzano. Investigatori ritenuti spregiudicati, ma mai collusi. E poi sembrava che anche la condanna a 7 anni contro Dell’Utri stesse per essere spazzata via, dopo la stangata dell’Europa sul reato di concorso esterno. Nei cinque giorni della camera di consiglio, un tam tam insistente aveva ormai riempito Palermo: « Sarà assoluzione » . Invece, è una condanna durissima. Non ci sono solo gli anni di carcere, ma anche un maxi risarcimento che gli uomini dello Stato e i mafiosi dovranno pagare «in solido». Dieci milioni di euro, in favore della presidenza del consiglio. In aula c’è Luciano Traina, il fratello di Claudio, uno dei poliziotti morti con Borsellino. Dice: « Ora, voglio tutta la verità sulla strage di via D’Amelio».
Fonte: La Repubblica, www.repubblica.it/