Le città impotenti

 

di Pierluigi Battista

 

Le città italiane vengono molto prima delle Regioni, entità amministrative e istituzionali costruite dalla legge e dai confini disegnati a penna, come gli Stati nazionali scaturiti dalla dissoluzione dell’Impero ottomano alla fine della Prima guerra mondiale. E se proprio si vuole tornate indietro, esistono da prima della fondazione del nostro Stato unitario. Con la pandemia stiamo scoprendo che dal punto di vista sanitario le città, pur forti di una storia, di una cultura, di un’identità e persino di un orgoglio municipale (mentre non esiste, o è debolissimo, un orgoglio propriamente «regionale»), non contano nulla, mentre le costruzioni che di storia ne hanno quasi zero, le Regioni, dettano legge nel campo della sanità. Con il risultato paradossale che Milano conta la metà dei contagiati di tutta la Regione Lombardia, che lo stesso vale per Roma con il Lazio, per Genova con la Liguria, per Napoli con la Campania, ma Milano, Roma, Genova, Napoli e le altre città capoluoghi di Regione possono pochissimo nella battaglia contro il virus. E se i piccoli centri, tutto sommato, sono più protetti da un sistema di medicina territoriale discutibile ma pur sempre meno distante, più presente, più riconoscibile, le metropoli travolte più drammaticamente dal contagio si smarriscono.

I grandi centri urbani perdono il bandolo dei tracciamenti, abbandonano i cittadini nella solitudine e nell’impotenza, nella pandemia incontrollata, come dicono (tardivamente) gli stessi epidemiologi.

Non aver capito, dopo l’esplosione del marzo scorso, che la pandemia agisce secondo logiche straordinarie del tutto diverse dai periodi in cui la sanità è gestita in via ordinaria, e non aver compreso che il virus non ha sensibilità istituzionale, non conosce le linee di confine tracciate dalle autorità istituzionali, fa sì che i centri nevralgici del contagio, le città, le aree metropolitane, le grandi concentrazioni urbane siano state lasciate a sé stesse. Con una doppia conseguenza negativa, per le gradi città e per la provincia, trattate allo stesso modo e senza tener conto delle specificità, delle differenze, delle urgenze. Non ha nessun rapporto con la realtà trattare allo stesso modo, solo per fare degli esempi ma se ne potrebbero proporre mille altri, Milano e la provincia Sondrio, Roma e quella di Rieti, Napoli e quella di Benevento, Firenze come la Versilia, Palermo come Racalmuto, Torino come le Langhe e così via. E se oggi si lamenta la mancanza di uniformità nazionale, la sensazione che ognuno vada per conto suo, è soprattutto perché questa differenziazione avviene in modo caotico, estemporaneo, senza programma, senza lucidità, senza chiarezza di obiettivi, in definitiva senza governo, mentre le differenze dovrebbero essere valorizzate proprio per una battaglia condotta con mezzi migliori contro il virus. I cittadini (appunto, si dice «cittadini») vivono in città dove il contagio è più favorevole perché nelle città, per definizione ci si incontra, ci si accalca, avvengono scambi, contatti, ci si sposta di più, si affollano i mezzi del trasporto pubblico. Il «coprifuoco», eventualmente, deve concentrarsi lì, perché lì, nelle metropoli, è più utile, allenta la morsa della calca, e infatti in Francia, che pure ha una storia molto meno «policentrica» fondata sulle mille città, Emmanuel Macron ha imposto il coprifuoco dalle 21 solo in alcune concentrazioni urbane e non nella grande provincia.

I problemi nascono perché c’è una eccessiva distanza tra la realtà, cioè la centralità della citta nella pandemia e il disegno politico-amministrativo che assegna alle Regioni la competenza sanitaria. È un’autonomia monca perché non tiene conto della realtà, della storia, della società così com’è effettivamente e come si sta rivelando nella battaglia contro il virus. E i ritardi, le inefficienze, le inadempienze sanitarie diventano ancora più deleterie, e letali, se i presìdi sociali sono lasciati sguarniti. Le code apocalittiche per i tamponi avvengono nelle grandi città, i vagoni della metropolitana si riempiono nelle grandi città, anche i treni dei pendolari si dirigono prevalentemente verso le grandi città, e forse fa eccezione in parte la Lombardia, che ha un territorio fortemente più antropizzato che altrove. Ma che potere hanno i sindaci per prender misure radicali senza disporre del minimo controllo sull’apparato sanitario? Le città sono il centro della vita reale, ma il governo delle strutture sanitarie, nel picco della tempesta pandemica, risiede altrove. Il caos di questi giorni, così drammatico, nasce anche da qui.

 

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