«Sono un tifoso dei giovani»

L’intervista La famiglia, gli amici, le passioni, la Toscana. Carlo Verdone, oggi ospite di LuccAutori con il suo nuovo libro, si racconta. «L’età mi ha pacificato. La paura più grande? Perdere la memoria»

 

«Ridere non basta. I ricordi comici, ironici, sì, certo, ma ci sono anche quelli violenti, dolorosi. I ricordi di solitudine. L’importante è che abbiano un comune denominatore: che siano stati creatori di uno stupore positivo». Era il secondo giorno di lockdown quando Carlo Verdone si è seduto davanti al suo scrigno di ricordi di casa — soffitta, cantina, scatoloni vari, polverosi residui di antichi traslochi — e ha iniziato a pensare queste parole. A ricordare e contemporaneamente a scrivere. «Anche perché, se tanto dovevo stare chiuso in casa come tutti gli italiani, avevo solo due modi di passare il tempo: perderlo o metterlo a frutto». Lo ha messo a frutto. Ha messo nero su bianco le sue memorie. Ne è scaturito un libro che è una specie di secondo tempo a distanza di un decennio della sua autobiografia La casa sopra i portici. L’ha intitolato La carezza della memoria e come il precedente è edito da Bompiani. Oggi il regista e attore ne parla al festival LuccaAutori all’auditorium San Romano: è un’autobiografia strana, non lineare, che salta nel tempo e nei luoghi, seguendo il filo conduttore inesistente degli appunti, dei biglietti, delle fotografie che mano a mano trovava nei suoi scatoloni tornati sotto la lente di ingrandimento. Li ha messi insieme con uno stile e uno spirito spogliato dall’animo battagliero che lo ha sempre caratterizzato: «L’età mi ha pacificato, sono più saggio, riflessivo. Anche filosoficamente parlando. Non è un male, è l’evoluzione naturale di una persona. È arrivato per me il momento della pace». E così i ricordi si trasformano in chiave di dolcezza: dalla foto con Paolo Poli da cui prende spunto una lunga discesa nei meandri delle avanguardie teatrali che lo hanno formato, a Francesco Nuti nascosto in bagno a leggere Tex: «Era sempre sulle sue, molto silenzioso, tendeva a isolarsi e qualche volta spariva senza dire nulla. “Francesco, ma stai bene?” “Mi girano i coglioni”. “E perché?”. “So’ cose nostre… ciao,” chiudendo la porta con il piede. Era come se una nuvola grigia passasse sopra di lui, smorzando il suo bel sorriso. Ho sempre pensato che sapesse godere della sua felicità soltanto in parte, o in certi frangenti».

Il lockdown ha avuto effetti interessanti su molti uomini di spettacolo: Alessandro Benvenuti ha scritto un diario, lei addirittura un’autobiografia…

«Mentre scavavo tra gli scatoloni, ne ho trovato uno sigillato nel 2013 con su scritto “oggetti trasloco”. L’ho raccolto, ma siccome avevo male a un’anca mi è caduto, si è aperto e si è sparpagliata una miriade di oggetti, foto, agendine, scritti di mio padre che non sapevo esistessero. C’era un mondo dentro. Anche una foto del 1917 di mio nonno, io con i figli piccoli, io con i capelli, io senza capelli. Ogni foto ha rimesso in moto avvenimenti e avventure. Rimetterli insieme è stato un esercizio per la mia mente, e una carezza per la mia anima».

Da cui appunto il titolo. È bello quando il ricordo prende forma di carezza e non di cazzotto…

«Volevo raccontare solo personaggi, luoghi, città, situazioni e immagini piene di positività. Anche in presenza di avvenimenti negativi».

Qual è il sentimento dominante che emerge?

«Un grande ringraziamento a tante persone, a posti e atmosfere che ho guardato sempre nel mio ruolo di “pedinatore di italiani” che però alla fine mi hanno fatto “vivere” invece che solo “esistere”. Nel libro trovate anche cialtroni, mitomani, megalomani, ma nessun personaggio negativo, solo quelli che dovevo ringraziare, dalla prostituta con cui abbiamo parlato delle nostre famiglie e problemi, alla tragedia del mio amico Guglielmo. Credo che ne sia venuto fuori un libro vero e pieno di umanità».

A proposito di scrigni di ricordi, la casa di famiglia a Siena ne ha forniti tanti…

«Dai ricordi di quando ero piccolo e si partiva da Roma con la macchina, lungo la vecchia Cassia, passando per Radicofani, e si arrivava a via di Vallepiatta dritti per il Palio. Ho ancora nella testa gli stessi tre colori: arancio, verde e bianco, i colori della Selva, i colori di casa nostra, ne era tappezzata. Uno dei miei primi ricordi è la rullata marziale del tamburo in contrada. Credo sia per colpa del Palio che mi è venuta la passione per la batteria».

A proposito: scopriamo molti dettagli del suo rapporto con la musica, tra le pagine.

«Sono un collezionista di vinili dai primi anni dei Beatles. E anche un batterista discretissimo. Sono felice di aver trasmesso questa passione a mio figlio che è diventato un bravo bluesman, anche se per via del lavoro possiamo ritagliarci solo qualche weekend in cui ci chiudiamo nella nostra stanza della musica in campagna e ci mettiamo a suonare insieme».

Tornando alle memorie, una delle sue prime uscite fuori Roma per spettacoli è stata in Toscana: il Teatro dei Rinnovati a Siena e il Niccolini a Firenze. Non era ancora famoso e doveva «testare» un pubblico diverso.

«Lo spettacolo era Senti chi parla , dovevo affrontare un mondo differente. Una serata di anteprima a Siena, poi tre settimane a Firenze, prima di debuttare all’Eliseo. Scelsi Siena per mio padre, volevo che fosse il miglior spettacolo della mia vita. Ci teneva che il figlio facesse bella figura nella sua città. E fu il più bello, fluido, perfetto, ero veramente in forma».

Dove ripone ora le sue speranze Carlo Verdone?

«Nei giovani. Sono un loro tifoso. Io il mio l’ho fatto, adesso il mio compito è infondergli ottimismo e speranza».

E cosa invece la spaventa?

«Di perdere la memoria. Ecco perché ho scritto questo libro ora che i ricordi sono nitidi e fermi. Quando accadrà sarà il giorno più brutto della mia vita».

Progetti (lavorativi) per il futuro?

«A quale futuro possiamo pensare se siamo ancora tutti in attesa di riaprire davvero cinema e teatri, di capire che futuro avranno le sale. Ora funzionano solo le serie tv».

E infatti è attesa la sua serie Vita da Carl o su Amazon, di cui però non può ancora parlare.

Il Covid lo ha scansato, è stato fortunato…

«Mi ero anche rassegnato all’idea, intorno a me lo hanno preso tutti. Come io l’abbia scampata è un mistero. Ma un po’ me lo aspettavo, prima o poi doveva capitare una cosa del genere visto che viviamo in un mondo completamente aperto e senza barriere».

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