Vietato uscire dal comune. Non è una notizia recente, su una delle zone che in queste settimane è stata (o è tuttora) in lockdown locale. La misura riguarda un borgo nei pressi di Vinci, patria di Leonardo, che l’11 giugno 1631 gli Officiali di Sanità del Granduca di Toscana obbligarono a chiudere per fermare il diffondersi della peste. Cos’è cambiato? Al contrario, è cambiato quasi tutto. Chi usciva dal comune, contravvenendo alla legge, nel Seicento non era multato. La soluzione era più drastica: i disobbedienti erano considerati «banditi», e potevano «essere ammazzati impunemente da qualsivoglia persona che li trovasse fuori di detto loro comune». Ma insieme alle differenze più o meno ovvie – perché siamo tutti d’accordo che tra una multa e un’archibugiata c’è differenza – restano alcune analogie su cui riflettere. Anche allora furono vietati funerali, processioni e altre forme di devozione che favorivano il diffondersi del contagio, e la decisione provocò polemiche e attriti, con tanto di scomunica degli ufficiali fiorentini da parte del papa Urbano VIII. Anche allora si propose di svolgere a distanza una serie di attività potenzialmente rischiose, a partire dalla più rischiosa di tutte: la cura dei malati, del loro corpo e della loro anima (in quell’epoca giudicata più importante). La tecnologia della comunicazione era quello che era. I medici potevano aspettare fuori dai lazzaretti che il personale che oggi definiamo paramedico gridasse loro sesso, età, costituzione e sintomi dei malati? Qualcuno chiese anche che i sacerdoti assolvessero i peccati dei morenti ricorrendo a confessioni scritte, ma la proposta non ebbe successo.
Questa è solo una delle tante storie che si incontrano tra le pagine del nuovo libro di Adriano Prosperi Il lato sinistro, stampato dalla giovanissima casa editrice romana Mauvais Livres (pp. 491, € 30,00) come secondo titolo della collana «Sassifraga», che deve il suo nome a un fiore capace di crescere tra le crepe delle rocce o, secondo alcuni, di spaccarle (il primo è di Chiara Frugoni, su san Francesco e il Natale di Greccio). Prosperi – uno dei maggiori storici italiani degli ultimi decenni, che ha cambiato il nostro modo di studiare la storia dell’Inquisizione, dell’eresia e della cultura europea tra medioevo ed età moderna – vi raccoglie quindici saggi apparsi in occasioni diverse e in sedi talvolta appartate nell’arco di quasi quarant’anni (I vivi e i morti è del 1982). Ma sono saggi ‘estravaganti’ fino a un certo punto: li lega infatti un filo rosso ben riconoscibile, insieme intellettuale e militante. Il titolo stesso si riferisce tanto all’orientamento sociale e politico dell’autore, quanto al carattere sinistro, cioè negativo, degli argomenti affrontati: il terrore, le epidemie, la morte.
La morte è al centro di diversi capitoli, che sono altrettanti saggi magistrali di antropologia storica. Saggi dedicati non a un astratto «senso della morte», che certa storiografia ha immerso nelle nebbie della mentalità collettiva, bensì al rapporto tra i morti e i vivi, e al concreto bisogno di questi ultimi di tradurre la natura in cultura, il fatto di morire e di nascere in riti, simboli e valori sociali. A che altro servì l’invenzione del Purgatorio, se non a garantire un regolare (e regolato) rapporto di scambio tra vivi e morti? E quali conseguenze ebbe la sua abolizione da parte della Riforma protestante? I vivi e i morti comunicano attraverso i canali dell’immaginario religioso: non solo della religione ufficiale, ma anche della magia e del folklore. Indagando le forme del lamento funebre, Prosperi volge lo sguardo all’età medievale, lasciata scoperta da Ernesto de Martino in Morte e pianto rituale (riedito di recente). Fu nel medioevo che una serie di riforme e divieti ecclesiastici e civili portò all’eliminazione dalle città del lamento pubblico, confinato in aree rurali o periferiche. Il rapporto tra centralità e marginalità aiuta a comprendere anche l’evoluzione di altri usi legati alla sepoltura: la centralità del cimitero cristiano nella vita sociale della prima età moderna, e il suo spostamento, in età napoleonica, fuori dai centri abitati; la centralità dei sepolcri delle classi dominanti, avide di eternità, e la marginalizzazione degli altri – i poveri e i criminali, gli eretici e i suicidi.
Come ha già mostrato in Tribunali della coscienza (1996), Prosperi è un maestro nel cogliere la complessità dei meccanismi di esclusione, che passano talvolta dalla repressione diretta e violenta, altre volte dal mancato riconoscimento. Il saggio su Battesimo e identità cristiana è in tal senso esemplare. Partendo dal concetto di persona come coscienza della dignità di ogni essere umano, Prosperi illumina la storia del sacramento con cui il mondo cristiano affermava il valore del singolo individuo tanto nella sfera religiosa quanto in quella civile. Ma qual era la sorte dei non battezzati? A partire dal Concilio di Firenze (1439), la loro condanna eterna fu affermata e ribadita più volte dalla Chiesa romana, che in età moderna escluse dalla salvezza ebrei e musulmani, abitanti del Nuovo Mondo allora ‘scoperto’ e bambini morti senza battesimo.
Sono temi cari all’autore, che ricostruisce con rigore e lucidità le conseguenze concrete di idee e rappresentazioni solo apparentemente astratte. La paura e l’odio nei confronti degli ebrei tornano nel capitolo sul culto di Simonino da Trento, promosso alla fine del Quattrocento da una violenta campagna di stampa fondata sulla falsa notizia di un complotto ebraico anticristiano.
Sempre la paura di un complotto, al tempo della peste del 1630-31, provocò la caccia agli untori ancora oggi famosa grazie ai Promessi sposi. La tortura e la morte subite da Guglielmo Piazza, Gian Giacomo Mora furono gli «effetti terribili di cause immaginarie», scrive Manzoni; la conseguenza di pressioni politiche e sociali che portarono le autorità a sacrificare delle vittime innocenti al terrore collettivo, prescindendo dalle norme vigenti. Manzoni stesso, scrivendo la Storia della colonna infame, aveva in mente la fase della Rivoluzione francese detta del Terrore. Un nesso su cui vale la pena riflettere anche oggi, che nel nome della sicurezza e della necessità di metodi eccezionali contro un nemico oscuro, diffuso e invisibile si rivalutano la sospensione dei diritti e l’arbitrio dello Stato.
L’alternativa tra repressione più o meno cruenta e strategie di oblio o manipolazione torna nella storia della Pasqua dei lavoratori, al centro di uno dei capitoli più affascinanti del libro. Nell’introdurre la festa del 1° maggio, i socialisti presero le distanze dal calendario cristiano; ma a loro volta le autorità ecclesiastiche avevano sostituito o piegato ai propri fini antiche tradizioni folkloriche (sostituendo gli alberi del Maggio con l’albero della croce, le regine del Maggio con la Madonna). Ma contro ogni forma di oblio e manipolazione si stagliano soprattutto le pagine di Prosperi sulla ‘sua’ Liberazione, che in Toscana precedette di qualche mese il 25 aprile 1945. Per l’autore, la sua famiglia e i suoi vicini avvenne il 2 settembre 1944, pochi giorni dopo la terribile strage del Padule di Fucecchio, in cui 174 civili furono rastrellati e uccisi dall’esercito tedesco. Il ricordo della Liberazione, insieme all’invito a Leggere la Costituzione, perché non rimanga lettera morta, compone pagine limpide, vibranti, lucidissime. Pagine che si leggono d’un fiato, ma che vale la pena ricordare e meditare, per far sì che il nostro non si trasformi davvero in un «tempo senza storia».
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