Segre “Costi e poltrone? Il Parlamento è di più Ecco perché voto No”

di Zita Dazzi
MILANO — Ha trascorso l’estate nella sua Pesaro e ha recuperato il sorriso che il lockdown le aveva portato via. Per il compleanno, il 10 settembre sono arrivati i tre figli, Alberto, Luciano e Federica, con gli adorati tre nipoti, ormai grandi, ma sempre attaccatissimi a questa nonna speciale. Liliana Segre sta rientrando a Milano ed è pronta a tornare in Parlamento, salute permettendo, visto che i 90 anni qualche fatica la comportano anche per una donna forte come lei.
Senatrice, la ripartenza è difficile. E stiamo assistendo a un inizio di anno scolastico un po’ problematico. Lei che è così amata dagli studenti di tutta Italia, come vive questi giorni?
«Credo che nessuno vorrebbe trovarsi nei panni della ministra Azzolina, che in questa emergenza ha dovuto esercitare l’arte della quadratura del cerchio. Mi ha ricordato quel film, Apollo 13, in cui gli astronauti si ingegnano riutilizzando i materiali che trovano a bordo per sopravvivere dopo un guasto a un’apparecchiatura.
È importantissimo che la scuola ricominci. Io seguo ciò che succede nel mondo della scuola con particolare partecipazione perché sento un legame molto forte. Sia per essere stata privata da bambina della formazione, del contatto umano, della crescita emotiva e culturale da condividere con le mie compagne e i miei insegnanti, sia per avere trovato nella scuola cinquant’anni dopo, da testimone della storia, il luogo in cui potevo esercitare la mia missione. Se guardo indietro, all’esperienza degli ultimi decenni, rivedo i visi di centinaia di insegnanti appassionati, che sono stati i miei più grandi alleati, e quelli di decine di migliaia di studenti, miei nipoti ideali, che mi hanno dimostrato di voler raccogliere quelle candele della memoria che io mi sforzavo di porgere loro. E di saperle tenere accese».
Che cosa pensa sia rimasto dell’esperienza del lock down nei giovani?
«Credo che abbia spinto tutti a riconoscere il valore imprescindibile della scuola. Anche quegli studenti che prima parevano viverla come un peso e un obbligo inutile. Adesso la riapertura in presenza è una nuova sfida. Per quanto si possa investire in organizzazione, personale, attrezzature, procedure di sicurezza, penso che saranno la saggezza e la responsabilità dei giovani a fare la differenza. C’è una scuola da reinventare e da proteggere; forza ragazzi ! contiamo su di voi !».
Domenica si tiene il referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari. Lei ha deciso cosa votare?
«Mi pare che la questione venga un po’ troppo drammatizzata. Ci sono buone ragioni sia per il Sì sia per il No. Io alla fine mi sono orientata per il No soprattutto in coerenza con il mio atteggiamento generale verso il Parlamento. Sono entrata al Senato in punta di piedi, onorata e sorpresa della scelta del Presidente Mattarella che, come ho sottolineato più volte, ha un profondo valore simbolico e trascende la mia pe rsona. Sono entrata come si entra in un tempio perché il Parlamento è l’espressione più alta della democrazia. Quindi sentir parlare di questa istituzione che fa parte della mia religione civile come se tutto si riducesse a costi e poltrone, è qualcosa che proprio non mi appartiene».
Cosa pensa dell’operato del Governo Conte di fronte all’emergenza sanitaria?
«Sarà perché sono priva di esperienza politica, forse sono anche ingenua, ma io non riesco proprio a capacitarmi del clima arroventato e delle contrapposizioni feroci di questi mesi. Nonostante tutto, io ho un fortissimo amor di Patria che mi viene dalla mia famiglia. Per come la vedo io, di fronte ad una catastrofe come la pandemia del Covid 19 un grande Paese si dovrebbe unire, dovrebbe sospendere o quantomeno moderare la lotta tra fazioni e dovrebbe stringersi attorno alle istituzioni. Tutte le grandi nazioni fanno così di fronte alle guerre e ad altre simili emergenze. Quella di oggi è completamente diversa da una guerra, ma per certi aspetti è perfino peggio perché la minaccia è invisibile, sconosciuta ed anche gli scienziati brancolano nel buio.
Quindi non riesco a capire quello che è successo e ancora succede. Anche se vediamo uno sconosciuto che si esibisce come funambolo al circo lo seguiamo con trepidazione, temiamo per la sua sorte. Come è possibile che mentre il Presidente del Consiglio attraversa il precipizio con l’Italia sulle spalle, e se cade da una parte rischiamo milioni di contagiati e se cade dall’altra c’è lo sfacelo economico, qualcuno si metta ad urlare improperi, altri si dedichino allo sfottò e qualcuno perfino gli auguri di cadere ?».
Parla della classe politica o dei cittadini ?
«Mi riferisco ad una parte del mondo politico (da non identificare con interi partiti o con l’opposizione in generale) e ad alcuni personaggi pubblici. I cittadini comuni, invece, nella grande maggioranza hanno dato una prova straordinaria.
Tradizionalmente noi italiani siamo un popolo abbastanza lamentoso, ma di fronte alla vere sciagure diamo spesso il meglio di noi stessi. In questo caso, salvo poche eccezioni, il nostro popolo ha dimostrato grande consapevolezza, enorme spirito di sacrificio, coraggio, abnegazione. Il confronto tra la compostezza e la dignità di questi milioni di italiani, da una parte, e certi toni sguaiati e strumentali di alcuni esponenti politici e di qual che personaggio televisivo, dall’altra, lascia sgomenti.
Una classe dirigente, sia essa politica economica o intellettuale, dovrebbe dare l’esempio, elevarsi. Non mettersi al livello più basso, cercando di fomentare rancori ed irresponsabilità».
Quindi non si è pentita del voto di fiducia a questo governo così contestato?
«No, per nulla. Senza dubbio non tutto è andato bene, vi sono stati ritardi e sbagli. Ma come ho detto siamo di fronte a qualcosa di sconosciuto e che nessuno sa esattamente come affrontare, per cui è inevitabile che tanto gli scienziati quanto i governi procedano per tentativi ed errori. Mi pare che, guardando con obiettività a quello che è avvenuto in giro per il mondo, si possa dire che il governo italiano ha gestito la situazione meglio di altri. Perciò non solo non sono pentita, ma semmai ho il rammarico di non avere potuto rinnovare il mio sostegno in questi mesi: ho avuto qualche problema di salute ed i medici mi hanno messa a riposo per cui non ho più potuto andare in Senato».
Ci sono stati sviluppi sul fronte della cosiddetta Commissione Segre ?
«Purtroppo, dopo che il Senato ne ha deliberato la costituzione, la Commissione di studio sullo hate speech non si è formata. Capisco bene che vi sono state altre urgenze, ma spero che presto la commissione potrà diventare operativa».
È ancora disposta ad accettare la presidenza?
«Mi ero dichiarata disponibile a presiederla, se me lo avessero chiesto, ma mi riservo di fare una valutazione sulla base delle mie condizioni di salute quando sarà il momento. Continuo a pensare che se la mia presenza in Senato avrà lasciato questo piccolo segno non sarà stata inutile. Il problema del dilagare dell’istigazione all’odio, soprattutto in rete, continua ad essere acutissimo ed occorre studiare soluzioni nuove per garantire un delicato equilibrio tra massima libertà di espressione e protezione dall’imbarbarimento e dalla violenza. Le due cose – libertà e protezione – a ben vedere non sono in conflitto, ma sono ciascuna condizione dell’altra».
Davvero vuole smettere di parlare in pubblico ?
«Continuerò a parlare in pubblico, se ne avrò le forze, ma non ripeterò più la mia testimonianza. La mia vita è caratterizzata da fasi e da tempo sentivo che questa fase, durata circa 30 anni, doveva finire. Confesso che l’avevo deciso già prima, ma poi la nomina a senatrice a vita mi ha indotto a resistere ancora per qualche tempo. Nessuno che non abbia vissuto quello che abbiamo vissuto noi può capire quanto sia costato ai sopravvissuti – quei pochi che l’hanno fatto – iniziare a raccontare e poi rievocare ancora e ancora quel passato. Da fuori forse si avverte solo la fatica di ripetere sempre la stessa vicenda, ma è altro, è un logoramento psichico difficile da spiegare, da un lato c’è nel testimone la necessità liberatoria del dovere compiuto, ma dall’altro lato c’è il rischio costante dello sdoppiamento. C’è una Liliana di oggi, che ogni volta ricordando i fatti guarda con pena infinita la Liliana di allora, come una nonna guarda una nipotina cara, e la obbliga a ripiombare in quell’orrore, reprimendo come faceva allora l’urlo che le cova dentro. Raggiunti ormai i 90 anni, devo rassegnarmi a rispettare i limiti della mia fragilità.
Anche se il debito morale che ogni sopravvissuto alla Shoah prova verso coloro che non sono tornati per raccontare è inestinguibile».
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