Schmidt, l’Alabardiere: un grande ritorno (prima della partenza).

I progetti in campo sono tanti. Il riallestimento delle sale di Leonardo, Michelangelo e Raffaello, la predisposizione del nuovo percorso in Galleria per gli Autoritratti del Vasariano, le decisioni da assumere in merito alla loggia di Isozaki, la nuova segnaletica dentro al museo e, primo fra tutti, la riapertura del Percorso del Principe che, insieme alla loggia di Isozaki è tra i più incerti. Non perché non si farà, ma perché non è detto che sia inaugurato da Eike Schmidt prima che lui voli a Vienna.

Nel carniere del direttore, però, c’è un colpo grosso in programma per il prossimo anno. Una grande-piccola mostra, agli Uffizi, di quelle che fanno parlare il mondo: riporterà in città (e in Italia) lo splendido Alabardiere di Pontormo oggi al Getty Museum di Los Angeles. Opera magnifica, opera simbolo. Doppiamente simbolo. Sia per la sua valenza artistica e politica che per quella relativa al destino che la nostra arte ha avuto nella storia del mercato di settore. Quello a tanti zeri. Ma andiamo per gradi.

La notizia è stata ventilata, appena accennata, da Davide Gasparotto che al Getty è senior curator , durante un’intervista rilasciata qualche mese fa a La Stampa . Diceva lì, il nostro storico dell’arte prestato agli Usa e oggi anche membro del comitato scientifico del Bargello: «Con gli Uffizi stiamo progettando una mostra piccola ma preziosa che avrà come protagonista Pontormo». Ecco, il progetto Pontormo firmato Schmidt-Gasparotto riunirà il disegno preparatorio del capolavoro, oggi conservato al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, alla tavola che oltre oceano è arrivata agli inizi del secolo scorso e che al Getty è stata acquisita dopo essere stata battuta all’asta, a New York, da Christie’s e venduta per la cifra record di 32,5 milioni di dollari, il più alto incasso fino a quel tempo ottenuto da un’opera d’arte antica.

Allora ci fu un fuoco di fila per evitare l’espatrio del bel giovine di Pontormo, un fuoco di fila evidentemente non andato a buon termine. Il capolavoro non lo si voleva vedere partire e non solo perché è tra le massime espressioni del maestro della maniera, con quello sguardo languido, il corpo dalla vita sottile, il rosso vivo di calzoni e copricapo e le mani sensualissime, ma anche perché la sua figura dal portamento altero simboleggerebbe, per la gran parte dei critici, la resistenza fiorentina contro le truppe di Carlo V. Sarebbe infatti stato realizzato tra il 1529 e il 1530 proprio durante i dieci mesi dell’assedio di Firenze — così diceva almeno Luciano Berti — quando le ultime libertà italiane si incrinavano e si infrangevano sull’altare delle grandi potenze.

C’è anche chi ha voluto riconoscere nel giovinetto un omaggio a Cosimo I e alla sua impresa a Montemurlo, prediligendo dunque una datazione diversa (1537). E c’è ancora chi, in forza di questo «enigma dell’alabardiere», ha contribuito ancora di più a far accrescere la sua fama comunque già notevole. Il ritratto è ricordato per la prima volta nell’inventario di Palazzo Medici Riccardi nel 1612, ricordava l’antiquaria romana Bianca Riccio quando, nel 1989, anche lei partecipò all’appello per tenerlo in Italia. Nel XIX secolo faceva parte della collezione del cardinale Fesch, imparentato con Napoleone. Dopo vari passaggi, nel 1904, fu messo all’asta e fu acquisito dal banchiere americano e collezionista James Stillman, dove rimase fino all’asta milionaria. Un’asta a cui cercò di porre un freno Stefano Rodotà che era al tempo deputato per la Sinistra Indipendente presentando anche un’interrogazione all’allora ministra dei Beni Culturali Bono Parrino. Senza esiti, dato che oggi figura tra i pezzi di maggiore pregio della collezione del Getty. Un pezzo che l’anno prossimo dovrebbe tornare, seppur temporaneamente, nella città dove è stata realizzato dal maestro della maniera fiorentina.

Chiara Dino chiara.dino@rcs.it

 

  • Mercoledì 6 Settembre, 2017
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