Roma, l’assembramento delle destre. È la festa della disunità antiConte

Giorgia Meloni, quella dei due leader nazionalisti che ha più la testa sulle spalle, il giorno prima ha chiesto ai militanti di non venire a Roma a Piazza del popolo, «non conosciamo la curva dei contagi, vogliamo una manifestazione sicura, non vogliamo dare alcun alibi al governo per i suoi fallimenti». Ma la via del Corso ieri è lastricata dei suoi buoni propositi. Che vanno a farsi benedire quando, ultimo come una star, arriva Matteo Salvini, cala la mascherina sul mento e si concede al bagno di folla: selfie, smartphone che passano da una mano all’altra, narici in rotta di collisione. L’annunciato flash mob delle opposizioni si trasforma in un assembramento, di quelli vietati – per gli altri cittadini – dai decreti e dal buon senso. Meloni dribbla i militanti, Salvini si tuffa verso i pochi che non riescono a raggiungerlo. L’imbarazzo resta dipinto sulla faccia del forzista Antonio Tajani, che ha meno fan fra la folla. Tocca a lui davanti alle telecamere rappresentare l’alleato «collaborazionista» con il governo: Berlusconi è rimasto nel suo buen ritiro provenzale e da lì ha fatto sapere di aver aderito all’iniziativa «per salvaguardare la compattezza della coalizione, ma deve essere una manifestazione civile, composta, solo simbolica. Non faremo certo come quegli imprudenti che nei giorni scorsi sono scesi in piazza in alcune città italiane con i gilet arancioni, senza rispettare le norme sugli assembramenti, senza usare le mascherine, negando addirittura il virus».

LE FOTO DALL’ALTO dicono il contrario, era ovvio: quando dal lato della piazza viene srotolato il tricolore di 500 metri, nel Corso c’è una trita di umani. Stretti come sardine, le mascherine svolazzano in bilico su un orecchio e da lì planano a terra. Il verde Bonelli annuncia un esposto per mancato rispetto delle misure di sicurezza.

L’IMMAGINE PLASTICA delle opposizioni è un vaffa alla prudenza di tutto il paese. Il messaggio politico della piazza invece è un vaffa al governo, scandito da cori maschi a più riprese all’indirizzo della persona del premier Conte. Meloni si sbraccia per farli tacere. È così che i nazionalisti offrono di collaborare con la maggioranza alla ricostruzione del paese dopo l’emergenza.

«SONO FELICISSIMA che la sinistra abbia scoperto che il 2 giugno è la festa di tutti» attacca Meloni replicando alle accuse di aver scelto una data simbolo dell’unità nazionale (ritrovata, grazie alla Resistenza al nazifascismo, alla Liberazione e al referendum vinto dai repubblicani contro i monarchici, tutti momenti della storia patria di cui non si trova traccia nel pantheon di Fratelli d’Italia ex An ex Msi). «È anche la nostra festa e abbiamo il diritto di manifestare anche noi in sicurezza», continua, chiudendo gli occhi allo spettacolo che ha davanti, «Vogliamo dare una mano sul decreto rilancio ma la prima condizione è che spariscano bonus inutili, marchette e i soldi sulle consulenze». Salvini ironizza sulle bandiere rosse del 25 aprile per dimenticare il troppo recente patriottismo della sua Lega, che del tricolore – che oggi lui esibisce in faccia – prima consigliava tutt’altro uso: «C’è un pregiudizio nei confronti del privato, lavoratori autonomi e liberi professionisti, non ci possono essere lavoratori italiani dimenticati», dice, «Speriamo che Pd e M5s ascoltino l’appello del presidente della Repubblica, perché a parole dicono che ci ascoltano, nei fatti non hanno preso alcuna nostra proposta». Il leader finge di non cogliere, nelle parole di Mattarella, l’appello a non dividere il paese. Che è il senso vero di una manifestazione il giorno della festa della Repubblica.

IL PRESIDENTE HA VOLUTO DEDICARE la festa nazionale alle vittime del Covid: ieri mattina era a Codogno, ieri sera all’Ospedale Spallanzani di Roma, luoghi simbolo della resistenza al virus. Incontri ad alto tasso di unità ed emozione, e misure anticontagio. Immagini che stridono al confronto con il Papeete metropolitano organizzato dalle destre. Ed è, dicono, solo «l’aperitivo» di quello che succederà al Circo Massimo il 4 luglio.

IL PALCO NON C’È, i leader parlano alle telecamere, questo consente alla folla di non sentire che Tajani dice l’ opposto dei colleghi: «Dovremmo ascoltare l’appello del Capo dello Stato, dobbiamo lavorare tutti insieme. Ci sono grandi opportunità anche dall’Europa». L’assembramento non la pensa così e accerchia tre giovani kamikaze che provano a risalire in corteo con le bandiere della Ue. A Tajani non piacciono neanche i ceffi neofascisti che si accampano indisturbati ai margini delle file tricolori: «Gli estremisti non hanno nulla a che fare con noi. Sono isolati». Ce l’ha con uno di Forza Nuova che straparla al megafono. E ancora: «Siamo contrari ai gilet arancioni».

È COMPRENSIBILE IL FASTIDIO per i gilet che danno il cambio ai nazionalisti in quella stessa piazza: senza mascherine, negano il Covid e mandano rumorosamente a quel paese il Colle. In sostanza è lo stesso messaggio della mattina. Ma in versione trash.

 

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