Robur, arriva il «fischio finale» Sequestrati beni per 8,5 milioni.

I fratelli Mezzaroma e altri nove indagati per il fallimento del Siena Calcio.

SIENA La parte bianconera della città ha voltato pagina da tempo: il Siena calcio ha una nuova proprietà e, a seguito del fallimento, anche il nome ufficiale della società è cambiato. A fare i conti con il passato resta però la giustizia. L’operazione «Fischio finale», avviata a fine 2014 e coordinata dal pm Antonino Nastasi, è arrivata al termine. In questi giorni sono stati notificati gli avvisi di conclusione indagini a 11 indagati, tra cui l’ex presidente Massimo Mezzaroma, al quale sono stati sequestrati beni per 8,5 milioni di euro e contestati i reati fiscali per dichiarazione fraudolenta, emissione di fatture per operazioni inesistenti, omessi versamenti di imposte e accesso abusivo al credito. Nei confronti degli inquisiti — tra cui l’ex vicepresidente della Robur, Valentina Mezzaroma, e Mario Lattari, rappresentante della società romana B&W Communication — sono state ravvisate anche ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale mediante distrazioni di denaro, bancarotta fraudolenta mediante false comunicazioni sociali e per pagamenti preferenziali.

L’inchiesta, delegata al Nucleo di polizia tributaria delle Fiamme gialle senesi, era scattata a seguito della vendita del marchio «Ac Siena» alla B&W Communication, società creata per l’occasione e di fatto mai operante. Una manovra portata a termine con l’intermediazione di banca Mps che aveva erogato all’acquirente un prestito da 22 milioni di euro. Il marchio era stato valutato 25 milioni: cifra che una perizia giurata aveva giudicato 5 volte superiore al suo valore reale. Contestualmente alla cessione del marchio, la società romana aveva stipulato un contratto di affitto del marchio stesso con la Ac Siena Spa: il club bianconero, dunque, si ritrovava a pagare un canone mensile per usare il proprio marchio, di valore pari alla rata del mutuo che la B&W doveva restituire al Monte dei Paschi finanziante l’operazione.

In pratica la Robur, in pieno dissesto finanziario (20 milioni le perdite nel bilancio 2010/11), era riuscita a ottenere un finanziamento che altrimenti non le sarebbe stato concesso. Un’azione analoga era stata portata avanti anche dalla Mens Sana Basket, poi finita al centro dell’inchiesta «Operazione time-out».

Oltre alla cessione del marchio, la GdF ha portato alla luce anche l’indebito inserimento del «paracadute finanziario», riservato alle società retrocesse, nel bilancio al 30 giugno 2013; uno degli ultimi tentativi andati a segno di rientrare nei parametri richiesta dalla Lega Calcio, prima che 12 mesi più tardi arrivasse la parola «fine» su 110 anni di storia della Robur.

Aldo Tani

 

 

  • Mercoledì 9 Agosto, 2017
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