Bruni e Frongia, all’Elfo, rileggono Edipo “prima” della tragedia: Tebe si impone come luogo mitico e primario, motore di eternità e (in)sicurezze
La gradinata della sala Fassbinder dell’Elfo Puccini è diventata a pianta centrale con gli spettatori disposti su tre lati, meglio se si guardano negli occhi. È una rivoluzione toponomastica teatrale (ai vecchi tempi al Menotti gli “Elfi” ne facevano di continuo) che s’addice allo spettacolo fintamente “sperimentale” Verso Tebe, prefazione dell’Edipo Re sofocleo che verrà.
Per ora, con leggìo da cui svolazzano fogli dattiloscritti, quattro attori in seri vestiti neri da cerimonia e piedi nudi (quelli di Edipo rossi fiamma per dolore dei ferri conficcati ma anche valore traslato) che Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, pregiata ditta specialista d’inconsci patimenti, ha tratto da un’analisi dei molti scrittori che, dopo i tragici, e dopo i latini (c’è Seneca), hanno trattato il personaggio e il tema di Edipo, il cui nome sarà per sempre associato a Freud.
Ma non si parla di psicanalisi, certo è lei che sovrintende allo spazio e al tempo e al futuro annunciato da Bruni al finale, ma si adegua, con cuciture invisibili, da ricamatori espertissimi, Sofocle alle riletture posteriori saltando da Hoffmannstahl a Cocteau, da Thomas Mann (L’eletto) a Gide, da Dryden a Lee, da Durrenmatt (La sfinge) fino a Steven Berkoff, l’amico inglese più screanzato della compagnia.
Pur rispettando i personaggi e spiegando bene la storia dell’uccisione del re e del congiungersi con la madre, si sente nel testo che corre ai quattro lati della sala l’innesto di altri linguaggi, parole, concetti e quindi di epoche che non sono quelle sofoclee.
L’operazione riesce in questo spazio dove c’è tutto e niente, ad un lato altri vestiti neri da cerimonia appesi, la casta, mentre per terra in omaggio a Jannis Kounellis un ammasso sparso di cappotti che forse sono appartenuti ai freddolosi e infelici cittadini di Tebe, vittime dei giochi dei potenti.
Gli Elfi avevano voglia di tornare a una alta materia di discussione, a quello che sta nel cielo e che regola tutta la drammaturgia moderna oltre che la nostra vita privata e poiché su Edipo molti scrittori, anche insospettabili, hanno lasciato pietre d’inciampo, i 60’ di spettacoli funzionano benissimo. Bruni-Frongia, prima di arrivare alla tragedia classica, si preparano a un viaggio in una terra oscura, un luogo mitico e primario come Tebe, alla scoperta di sé, perché «la storia di Edipo nel corso del tempo è lo specchio di chi l’ha riletta, è il mito più riscritto della storia».
Dicono i due registi dell’Elfo, pronti a giocare a scacchi con la Morte come nel bergmaniano Settimo sigillo: «C’era la voglia di ritrovare il Destino e un personaggio classico, magari un Edipo finalmente giovane, ma abbiamo pensato di avvicinarci a lui poco alla volta, spiando, studiando, indagando sulle molte indagini fatte da studiosi e scrittori-detectives su quel trovatello dai piedi feriti che scopre troppo tardi il perchè suoi delitti».
Quasi un’indagine poliziesca in cui il colpevole è il complesso di colpa. «Noi al prof. Sigmund preferiamo le glosse di James Hillmann, nostro compagno di viaggio: «La città di Tebe luogo mitico e primario, posto maledetto e patologizzato. Ma non si tratta tanto di trovare il processo freudiano con la mamma da sposare e il papà da far fuori, ma di andare all’indietro scoprendo se stessi, alla maniera di Testori».
Nell’incrocio verso Delfi, al bivio mortale fra tre strade, i quattro attori sono perfetti nell’uscire ed entrare dalla tragedia lasciando ampio spazio alla sua contemporaneità, anzi alla sua eternità.
Dicono Bruni e Frongia: «Ci piaceva tornare al tema del destino, ai discorsi più ampi e universali, ai temporali che stanno dietro alla presunta razionalità dello spirito dei Tempi in cui lo sbadiglio del benessere ha da tempo domato le belve della paura trasformandole in ansia, depressione, stress. Ma il respiro gelido e antico della tragedia si fa sentire appena fuori dai nostri scricchiolanti confini e da rassicuranti certezze».
In scena Edipo è Valentino Mannias, premio Hystrio, Mauro Lamantia è Giocasta, Edoardo Barbone fa la voce narrante e i cori e lo stesso Ferdinando Bruni è Laio, Tiresia e la Sfinge, il tutto pervaso da industrial music e suoni post punk.