Riappare l’incubo del crac del 2008.

I mercati mondiali erano pronti per il barbecue Usa ma a guastare la festa è stata un’esplosione nucleare nella Corea del Nord. Il primo lunedì di settembre non è una giornata piena per la finanza internazionale. PAGINA La Borsa americana è chiusa per la Festa del Lavoro – triplice celebrazione nazionale di sudore della fronte, fine dell’estate e carne alla brace. E il resto del mondo degli investimenti di solito se la prende comoda perché il Grande Fratello Usa è a riposo. Ma questo lunedì non c’è stato tempo di ammirare gli hamburger, sbevazzare Coca-Cola e guardare gli US Open di tennis in tv: la fumata nucleare di Pyongyang ha avvolto banchieri, trader e analisti in una nuvola di paura. «Potremmo essere sull’orlo della terza guerra mondiale» mi ha detto un investitore americano. Forse esagera – anzi, speriamo che esageri – ma la sua visione apocalittica riflette l’umore cupo dei mercati. Con Wall Street a porte chiuse, il nervosismo della finanza si è sfogato nei beni- rifugio. Anche se nessuno è riuscito a confermare le parole folli provenienti dalla Corea del Nord, l’oro è balzato al prezzo più alto da quasi un anno; il franco svizzero e lo yen giapponese – monete di Paesi non belligeranti – hanno guadagnato terreno sul dollaro; e le Borse europee (e quella sud-coreana) hanno preso delle belle mazzate. Il regime di Kim Jong-un ci ha messo del suo con la minaccia di un missile nucleare a lungo raggio. E il governo americano, nella persona del segretario alla Difesa James Mattis, ha replicato con la promessa di una «risposta militare gigantesca», frase durissima cha ha fatto scalpore in Cina, il solo, ma potente, alleato di Pyongyang. Sono parole che i mercati non vogliono assolutamente sentire, soprattutto perché non ci sono abituati. Negli ultimi decenni, gli investitori hanno dovuto affrontare crisi finanziarie (il grande crash del 2008-2009), economiche (la recessione della zona euro più il caos della Grecia) e politiche (Brexit, Donald Trump ecc.). Ma è dai primi anni 90, quando la guerra del Golfo dominava le prime pagine dei giornali e i terminali dei trader, che i mercati finanziari non sono in balia di una crisi geopolitica che potrebbe diventare un conflitto tra superpotenze. Un’intera generazione di operatori di Borsa, capitani d’industria e uomini d’affari non sa cosa significhi comprare e vendere sotto l’ombra nera di un conflitto mondiale. Come ha detto all’agenzia Bloomberg Nader Naeimi di Amp Capital, un fondo d’investimento da 110 miliardi di dollari, «siamo entrati in una nuova e pericolosissima fase». E allora vale la pena analizzare la psiche dei mercati. Il vecchio adagio è che gli investitori odiano l’incertezza. Non è del tutto vero. Negli ultimi anni, i mercati sono sopravvissuti a momenti-choc quali il voto dei britannici per la Brexit, l’elezione di Trump e vari attentanti terroristici in Europa. L’incertezza non li ha spaventati, anzi. Le Borse hanno battuto record dopo record, anche se il futuro dell’ Unione Europea e degli Usa, per non parlare del Medio Oriente, non è assolutamente chiaro. Per contro, i grandi crac degli ultimi anni – dallo scoppio della «bolla» della tecnologia nel 2000 alla crisi bancaria del 2008 fino alla tragedia greca erano tutti più o meno prevedibili (e qualche esperto li aveva predetti). Ma finché si poteva fare soldi su Silicon Valley, mutui subprime e obbligazioni greche, gli investitori non avevano nessuna intenzione di correre ai ripari. Invece di essere prudenti e prepararsi al peggio, i fondi d’investimento e le banche continuarono a ballare fino a quando la musica cessò – come disse il capo di Citigroup Chuck Prince poco prima del crollo del 2008. La situazione nord-coreana è molto simile. La detonazione di un ordigno nucleare rende Pyongyang nemico molto più concreto ma non è una sorpresa per nessun investitore che sappia usare Google o guardi la Cnn. La differenza è che, fino ad ora, i mercati non stavano prestando attenzione. «Non ci abbiamo voluto credere» è stata la risposta di un investitore americano quando gli ho chiesto della reazione di lunedì. «You better believe it» – «È ora di crederci» – gli ho risposto. È ora di crederci non perché la terza guerra mondiale sia una certezza, ma perché la posta in palio è troppo alta. Anche se il calo dei mercati fosse una reazione impulsiva, nessuno si può più permettere di ignorare la nuvola di paura che aleggia sulla finanza internazionale. Gli occhi del mondo saranno su Wall Street oggi pomeriggio per vedere come il più grande mercato del mondo reagisce alla minaccia geopolitica. Il ritorno dalla Festa del Barbecue non è mai stato così importante. *Direttore di Dow Jones Media Group in Europa.
La Stampa.
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