Renzi suona la carica ma la Festa fa flop «Che penuria di gufi, non ne trovo più».

«C’è una penuria di gufi… Non ne trovo più uno: ogni volta che esce un dato sui posti di lavoro in più e sulla ripresa dell’economia, muore un gufo. Abbiamo preso in mano un paese che aveva un Pil sotto del 2 per cento: oggi siamo all’1,5 per cento. Se al posto nostro fossero andati a Palazzo Chigi Salvini o Grillo saremmo finiti fuori dall’Europa, non fuori dalla crisi». Ci vuole Matteo Renzi per scuotere dal torpore la Festa de l’Unità alle Cascine, che si concluderà domenica con un partecipazione di pubblico assai sotto alle aspettative. È lo specchio dell’entusiasmo (colato a picco) tra i simpatizzanti del Pd, dopo la batosta del referendum. Si respira un clima ribaltato rispetto allo scorso anno, quando la partita delle riforme riscaldava gli animi e spingeva a partecipare ai dibattiti. In questa edizione, solo per fare un esempio, a sentire il ministro del Lavoro Poletti c’erano una quarantina di persone. Gli organizzatori lo avevano previsto, tanto che il palco centrale è stato disposto in maniera ben diversa rispetto al 2016, in modo da limitare l’effetto vuoto. Il segretario nazionale del Pd è già in campagna elettorale, ma dopo aver cavalcato con successo i temi del rinnovamento, adesso, dopo il 4 dicembre, riuscire a toccare le corde giuste degli elettori non è più facile come una volta per Renzi.

«Non sono qui a raccontarvi che “va tutto bene madama la marchesa”. Io non sono più presidente del Consiglio: mi sono dimesso perché abbiamo perso il referendum e io ho una grande parte di responsabilità», dice il segretario dem. Arrivato da Prato, il primo pensiero dell’ex premier va «alle ragazze americane che hanno subito violenza e alle loro famiglie. Mentre noi esprimiamo tutto lo sdegno, la rabbia e lo squallore per quanto successo, abbiamo il dovere di mandare un abbraccio a tutti gli uomini e le donne dell’Arma dei carabinieri, che sono il nostro orgoglio». E non manca il ricordo dell’ex assessore regionale Riccardo Conti, «con cui ci siamo sì divisi, ma dopo aver condiviso un cammino importante e di valori: mi chiamava “il nipotino birbone”. E io gli mando un abbraccio».

Nel mirino di Renzi, oltre a rivendicare i risultati dei «mille giorni» da premier, finiscono soprattutto Salvini e Grillo, attaccati a più riprese. E poi attacca sulle «fake news»: «L’altro giorno ho scoperto da internet che stavo scorrazzando con la Lamborghini a Ibiza, con un fotomontaggio. E il problema è che la gente ci crede».

Cla. B.