Quelle piazze (svedesi) dal Nord al Sud

 

di Antonio Polito

Piccole folle che fanno la spesa, persone a passeggio con sigaretta e mascherina, molti anziani per strada. A Napoli e a Palermo si comportano da svedesi. Ma non sono casi isolati. Scene più o meno uguali ci arrivano attraverso le foto e i video realizzati a Trastevere a Roma, ma anche in via Sestri a Genova o in piazza del Carmine a Firenze.

P er una volta a Napoli e a Palermo si comportano da svedesi. I video e le foto realizzate nelle vie più popolari delle due capitali del Sud (ma anche a Trastevere a Roma, ma anche a via Sestri a Genova, ma anche a piazza del Carmine a Firenze) assomigliano molto alle immagini provenienti dal Paese nordico che ha deciso di non applicare le misure di distanziamento sociale: piccole folle che fanno la spesa, persone a passeggio con sigaretta e mascherina, molti anziani per strada. Dunque, per bloccare subito un latente pregiudizio antimeridionale, diciamo che non dipende dal clima. Ma è indubbio che un certo rilassamento, al Mezzogiorno e non solo, comincia ad avvertirsi, ed è provato dalla furia di sindaci e governatori, come Decaro a Bari, Orlando a Palermo, De Luca in Campania, Toti in Liguria, che non smettono un attimo di rimproverare i loro concittadini.

Che sta succedendo? In realtà forse ci dovremmo chiedere perché non era successo prima. La disciplina e il rigore con cui l’intera Italia ha sostanzialmente rispettato fin qui le indicazioni del governo e degli scienziati sono un esperimento sociale molto impegnativo. Prima o poi, qualche falla era destinata ad aprirsi. Il problema è ora capire come chiuderla presto e bene, visto che Pasqua e Pasquetta di sicuro, ma forse anche 25 Aprile e Primo Maggio, li dovremo fare a casa. Si tratta insomma di ricaricare l’orologio. E dunque di ricalibrare e migliorare il messaggio delle autorità, negli ultimi giorni altalenante tra botte di ottimismo (la curva si è appiattita) e rinculi di pessimismo (la curva è piatta da troppo tempo).

Nel comportamento della gente conta ovviamente la distanza dall’epicentro della crisi. Più vivi in un posto dove le vittime per fortuna sono poche (nel Mezzogiorno qualche centinaio, su più di 14.000) e meno ti preoccupi. Ti viene in testa l’idea che è un morbo bergamasco o bresciano, e che tu sei al sicuro. Errore che può rivelarsi tragico, come lo è stato al Nord fin quando si è pensato che tanto era un morbo cinese. Il guaio del coronavirus è che colpisce un punto debole delle società aperte, in cui i governanti devono rendere conto all’opinione pubblica: puoi dire di averlo sconfitto davvero solo se ti risparmia, ma cominci a combatterlo solo quando capisci che non ti ha risparmiato. È la sindrome che prende in certe esercitazioni antincendio: alla terza lasci perdere, ed è allora che cominci a rischiare.

A questo va aggiunta la conformazione sociale e urbanistica di tante nostre città. Fare la spesa in un supermercato rende più facile la fila ordinata. Fare la spesa nel mercato di quartiere, nei negozi di rione, la rende quasi impossibile. Vicoli stretti e tortuosi sono meno adatti di grandi piazze. Case di due vani e servizi, per non dire di «bassi» e seminterrati, possono diventare prigioni. Gli anziani soli non possono ordinare cibo e sigarette su Amazon, o ritirare la pensione online. Ci sono divari e problemi sociali che vanno affrontati, se vogliamo reggere ancora per settimane non basta la repressione.

Un’ultima osservazione. Il pasticcio combinato dal governo sulle passeggiate con i figli almeno di questo non sembra colpevole: per strada, in queste foto, non si vede neanche un bambino.

 

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